Sette punti percentuali. Questo, secondo l’ultimo sondaggio pubblicato dal Median Public Opinion and Market Research Institute nel mese di novembre, sarebbe lo scarto tra il Partito del Rispetto e della Libertà (il liberal-conservatore ed europeista Tisza, dall’acronimo magiaro) guidato da Péter Magyar e il Fidesz del premier ungherese Viktor Orbán. Lo scenario prospettato dal sondaggio è, in ogni suo aspetto, assai cupo per il partito di governo. Sebbene allargando il cerchio a tutta la popolazione ungherese lo scarto tra i due partiti sembrerebbe diminuire, vedendo Tisza al 34% e Fidesz al 32%, la situazione si ribalta nuovamente considerando il campione di elettori certi, ossia quelli che sicuramente si presenteranno alle urne, dove la nuova opposizione sembrerebbe raccogliere il 43% dei consensi, mentre il partito di Orbán solo il 39%.
In realtà, l’attenzione dei mass media si è spostata sui sondaggi elettorali fin dal mese di ottobre, quando il “Centro Ricerche 21” ha pubblicato un documento nel quale si affermava che, per la prima volta da anni, un partito d’opposizione, il neonato Tisza per l’appunto, avrebbe superato di poco il Fidesz in caso di elezioni, catalizzando attorno a sé il 42% dei consensi dei già menzionati elettori certi, a fronte del 40% del partito di governo. A questo studio si è opposto il sondaggio dell’Istituto Nézőpont, vicino al governo, secondo il quale Fidesz otterrebbe il 46% dei consensi, mentre Tisza solo il 35%. In quella che sembra prospettarsi come una vera e propria guerra di sondaggi, tutti gli istituti concordano sul fatto che le prossime elezioni, programmate per il 2026, vedranno un’Ungheria fortemente polarizzata e divisa principalmente in due schieramenti, rischiando di vedere la fine di un Parlamento multipartitico. Secondo tutte le ricerche, infatti, a parte Fidesz e Tisza, solo l’ultradestra di Mi Hazánk potrebbe ottenere alcuni seggi, pari al 5-6% dei consensi, mentre tutti gli altri partiti tradizionali, dalla destra di Jobbik alla sinistra del Partito socialista, passando per i liberali della Coalizione Democratica, rischierebbero di scomparire dalla scena politica, ottenendo percentuali ben al di sotto del 4%.
Sembrerebbe quindi realizzarsi la profezia di József Tóth, esponente storico del Partito socialista e Sindaco del XIII distretto di Budapest dal 1994 a oggi. Secondo il dottor Tóth, infatti, la nascita del Partito del Rispetto e della Libertà alla vigilia delle elezioni europee del 2024, nelle quali ottenne in poco tempo il 29,60% dei voti, avrebbe sicuramente favorito la mobilitazione della società ungherese e una rinascita dell’impegno politico, soprattutto tra i giovani, ma avrebbe portato anche alla fine delle opposizioni tradizionali, i cui partiti di riferimento sarebbero stati fagocitati dal Tisza di Péter Magyar, mettendo così a rischio queste organizzazioni storiche più del partito di governo. Ed effettivamente il sorgere improvviso del partito Tisza, nato in seguito allo scandalo che portò alle dimissioni dell’allora Presidentessa della Repubblica, Katalin Novák, generò non poche perplessità tra gli esponenti delle opposizioni, soprattutto considerando il fatto che il leader del nuovo partito, presentatosi come anti-Orbán, è stato in realtà per anni sposato con Judit Varga, Ministro della Giustizia nel Governo Orbán IV e Orbán V, e figura di spicco del Fidesz.
Al di là di ogni perplessità e considerazione iniziale, lo scontro politico in Ungheria non si è sopito in seguito alle elezioni europee del 2024, ma si è anzi scaldato rapidamente, soprattutto in seguito alla pubblicazione dei già menzionati sondaggi. Sondaggi dei quali, purtroppo, non potremo saggiare la bontà fino al 2026, visto il rifiuto di Péter Magyar di partecipare alle elezioni supplettive per il seggio parlamentare assegnato alla circoscrizione della Contea di Tolna previste per il 12 gennaio 2025. Il nuovo leader dell’opposizione, infatti, ha affermato di preferire lavorare alle elezioni generali del 2026 e di non voler perdere tempo con elezioni supplettive viste come inutili ai fini di un ribaltamento degli equilibri parlamentari. Di più: con un linguaggio duro che sta diventando ormai tipico nella politica magiara, il leader di Tisza ha definito l’attuale Parlamento come un “teatro delle marionette” nelle mani del premier Viktor Orbán. Questa decisione è stata accolta con favore da diversi opinionisti, i quali però non hanno evitato di evidenziare le debolezze strutturali della nuova opposizione, il cui giovane partito non sembra essere radicato nella società ungherese e che sembra essere schiavo dell’influenza schiacciante proprio di Péter Magyar, unico esponente di spicco dell’organizzazione e unica figura che sembra essere in grado di concentrare intorno a sé un numero considerevole di successi, tanto da minacciare la popolarità di Orbán anche nelle campagne ungheresi.
Qualche timore nel partito di governo deve effettivamente essere nato, se consideriamo il fatto che il 17 dicembre il Parlamento ungherese ha approvato una mozione del Fidesz volta a modificare la struttura di 39 distretti elettorali, più di un terzo di tutte le circoscrizioni nazionali, in vista della prossima chiamata alle urne. Se da un lato il provvedimento era necessario in ottemperanza alla legge elettorale del 2011 che prevede una ristrutturazione delle circoscrizioni elettorali qualora queste dovessero perdere o guadagnare una percentuale di popolazione superiore o inferiore al 20%, dall’altro l’operazione è stata vista dalle opposizioni come sapiente gerrymandering. Dubbi più che legittimi se consideriamo il fatto che la città di Budapest, da sempre roccaforte dell’opposizione, ha visto ridotte le proprie circoscrizioni da 18 a 16. La ridefinizione dei collegi budapestini, inoltre, toglie ai deputati uscenti, in mano alle opposizioni, di ripresentarsi ai propri elettori nel 2026. Di più: le nuove circoscrizioni sono state ridisegnate in modo da unire zone in cui, nel 2022, l’opposizione tradizionale aveva vinto con zone nelle quali, alle elezioni europee del 2024, Tisza ha ottenuto grandi maggioranze, prospettando così un conflitto tra nuova e vecchia opposizione. Scenari simili sono stati artificiosamente creati anche in altri distretti ungheresi, mentre le Contee di Tolna e Somogy, tradizionalmente roccaforti del Fidesz e che pure avrebbero dovuto perdere alcune circoscrizioni, non sono state toccate dalla riforma approvata dal Parlamento magiaro.
A tutto questo hanno fatto eco le recenti dichiarazioni del Primo Ministro Orbán, rilasciate in occasione di un’intervista al portale online “Patrióta” e della conferenza stampa del 21 dicembre, secondo le quali Péter Magyar sarebbe la figura attraverso la quale l’èlite liberale di Bruxelles, definita come “Terra di Mordor nella quale risiede l’Oscuro Signore”, ossia il liberalismo, starebbe cercando l’ennesimo cambio di regime a Budapest, nell’ottica dello scontro all’ultimo sangue con i “patrioti”, i quali hanno segnato un grande punto a loro favore con la vittoria di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Una vittoria quanto mai provvidenziale per un Orbán che sembra essere in difficoltà e che sarà sicuramente intenzionato a trarre il maggior profitto dall’”effetto Trump”, soprattutto a fronte della richiesta di Péter Magyar di anticipare le elezioni.
L’Ungheria sembra quindi prepararsi alle prossime elezioni in uno scenario decisamente infuocato, in cui la campagna elettorale sembra non essersi fermata dal maggio 2024 e i cui temi principali, ossia l’opposizione tra liberali e patrioti, tra Bruxelles e Budapest, tra chi rappresenterebbe gli interessi del popolo ungherese e chi, al contrario, quelli di una élite transnazionale, sono già stati delineati dal premier Viktor Orbán.
Davide Galluzzi