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Mickey 17 – Vite e morti di uno sfruttato

Mickey 17 – Vite e morti di uno sfruttato

A sei anni da Parasite, il regista premio Oscar Bong Joon-ho, torna nelle sale cinematografiche con l’acclamato Mickey 17film tratto dal romanzo Mickey7 scritto da Edward Ashton. In quest’occasione, il coreano si serve del linguaggio della comedia satirica per riprendere il tema della lotta di classe che da sempre caratterizza il suo cinema.

In un futuro, tutt’altro che remoto, l’avanzamento tecnologico consente una sorta di clonazione umana – ricordi compresi –  attraverso un complesso metodo di stampa 3D. Tale invenzione, tuttavia, solleva forti dubbi etici e morali e il suo utilizzo, bandito sulla Terra, viene sperimentato in una missione di colonizzazione interplanetaria nel quale Mickey, il protagonista, svolge il ruolo di “sacrificabile”. Grazie alla clonazione, infatti, l’uomo viene utilizzato senza alcuna remora come risorsa da far morire più e più volte in compiti e mansioni certamente fatali per gli altri membri della spedizione. A bordo della nave spaziale Mickey sviluppa una relazione amorosa con Nasha, apparentemente l’unica in grado di provare empatia verso l’uomo. La svolta narrativa dell’opera, tuttavia, si ha quando gli scienziati, ritenendo Mickey morto, stampano una sua seconda copia dando vita a un multiplo dell’uomo e generando il caos in grado di cambiare per sempre la vita di tutto l’equipaggio.

Pur continuando, come detto, a trattare tematiche a lui care da sempre, il regista coreano si distacca enormemente dal suo precedente film e sembra, in quest’occasione, essersi ispirato a film satirici statunitensi recenti – uno su tutti Don’t Look UpBong Joon-Ho, infatti, lascia volutamente da parte l’ordine, il rigore e la precisione stilistica di Parasite per dirigere un film volutamente confusionario, in grado di inglobare dentro di sé anche i toni dello slapstick. La sceneggiatura, inoltre – firmata da lui stesso –  prende a piene mani dagli Stati Uniti contemporanei: innegabile l’ispirazione a Trump e alla sua amministrazione per la creazione e la caratterizzazione degli antagonisti principali delle vicende narrate. Tuttavia, oltre a quanto detto, il cineasta sembra aver lasciato da parte anche quella componente acida e tagliente che ha reso Parasite il capolavoro che è. La presa di coscienza della propria condizione, che avviene tramite violente scazzattotate tra Mickey e il suo multiplo – simile per certi versi al modo in cui Žižek descriveva la nascita della consapevolezza sociale nel John Nada di Essi Vivono – la successiva voglia di rivalsa, l’invasione di una terra straniera e il conseguente bisogno di sterminio del popolo autoctono e, infine, la rivolta dei ribelli vengono filtrati attraverso lenti in grado di rendere tutto divertente ma, allo stesso tempo, anche poco profondo. La narrazione procede, con alcune incongruenze, in modo spedito non dando il tempo né al regista, né allo spettatore di addentrarsi e scandagliare l’importanza e le implicazioni di quanto scritto e mostrato. La critica e la satira sociale presenti, seppur piacevoli, si fermano a un livello basilare mirato a far sorridere piuttosto che destabilizzare.

Dal punto di vista recitativo, il cast, pur in alcuni casi soffrendo di una scrittura grossolana e bidimensionale, è in grado di interpretare in modo efficace e divertente i personaggi che danno vita al racconto. Robert Pattinson, nel ruolo dei due protagonisti uguali eppur così diversi, dà vita ad una grande e soprattutto convincente doppia interpretazione. Mark Ruffalo, in un ruolo che prende a piene mani sia dalle movenze di Donald Trump, sia dalla caratterizzazione del suo Duncan Wedderburn di Povere Creature!, cammina costantemente sulla sottile linea che divide la grande interpretazione dall’esagerazione grottesca. Sulla stessa strada precaria si muove Toni Collette, che interpreta la compagna del despota interpretata da Ruffalo. Infine, Naomi Ackie mette in scena in maniera ottima la donna forte che ama e che difende in ogni caso Mickey.

Mickey 17 è un divertente film satirico che, tuttavia, sacrifica la profondità in nome di una comprensione immediata e poco profonda.

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