Olivia Rodrigo e “Guts”, il fascino dell’onestà

Olivia Rodrigo e “Guts”, il fascino dell’onestà

Oivia Rodrigo
Oivia Rodrigo

Olivia Rodrigo è sbucata così, come un fungo dopo una notte di umidità, in una scena musicale che non aveva bisogno particolare di nuove popstar. Ma che si sarebbe scoperto, col tempo, che aveva bisogno proprio di lei.

Stellina Disney vecchio stile – la serie che l’ha lanciata, dal titolo Bizaardvark, è qualcosa da consumare con una buona dose di sarcasmo o di pura ironia – ma anche balladeer di pregio, con qualcosa da dare oltre al puro bubblegum. Testimone della giovinezza femminile e dei primati dell’adolescenza, dai primi cuori spezzati alla prima patente, ma senza licenze cinematografiche da cartolina. Il soggetto è lo stesso di sempre, ma la tecnica diversa: i colori più saturati, le linee più nette, le pennellate più arrabbiate. Olivia Rodrigo incarna quel lato della giovinezza che non intende vivere un sogno: non perché non le interessi l’idea, ma perché ha capito dal primo momento che presto o tardi ci si deve svegliare.

Ed è così che – a differenza di colleghe come Miley Cyrus o Selena Gomez, in cui la maturità è un passaggio alla fine di un lungo percorso – Rodrigo è stata lanciata da un’etichetta slegata dalla Disney, la Interscope/Geffen. Nelle sue stesse parole “erano i soli a percepirla come una cantautrice, non una popstar”. E può mantenere con orgoglio quel titolo anche mentre il suo album di debutto Sour fa di lei la decima artista a vendere più copie nel 2021, le fa guadagnare tre Grammy Awards e un documentario su Disney+ dedicato alla sua persona. Perché se Olivia Rodrigo esiste nel mainstream come una popstar, non è mai stata limitata dalla sua natura. La accoglie anzi come parte del pacchetto, un elemento di espansione, che non danneggia e non prevarica il lato cantautoriale e profondo. Ed è così che il suo disco di debutto Sour è riuscito ad arrivare, e dare qualcosa, davvero a tutti. È pop con dignità, e se ne sentiva il bisogno.

Il secondo album di Olivia Rodrigo, Guts, non invece è una sorpresa e non è un punto di svolta. Le correnti che hanno fatto di Rodrigo un nome affermato sono ormai belle che avviate, e il sciupo personaggio si è delineato per bene. “Acida” è il titolo del suo album di debutto. “Viscere” quello del secondo. Il lato “brutto” della giovinezza è per Rodrigo un marchio di fabbrica sin dall’incipit.

È questo, nell’architettura interna di Guts, la chiave di volta. Volendo collocarlo all’interno di una corrente musicale in corso, non sarebbero i Paramore, i My Chemical Romance o Avril Lavigne – alcuni dei nomi citati, prima come adesso, nel ricalcare le influenze del piccante pop-punk di Olivia Rodrigo – a passare per la mente. Si pensa piuttosto a quel movimento tutto contemporaneo e femminile in cui la musa principale è la negatività: non dirompente e drammatica, ma quotidiana e innata. Un male di vivere che sedimenta come un cancro, che lascia detriti in ogni aspetto delle giornate, accumulandosi contro una metaforica diga in mucchi sempre più densi e pesanti. Finché la diga esplode, e con essa la voce della sua cantante.

È su questi binari che si muovono Happier Than Ever di Billie Eilish, The Land Is Inhospitable And So Are We di Mitski, SOS di SZA e, in misura minore, Midnights di Taylor Swift. C’è poco di teatrale, in questi album, nessun personaggio da interpretare, nessun ghignante Slim Shady che prende momentaneamente il posto delle loro esecutrici. Sono proprio loro, senza filtri, rese brutte e dure marce da un mondo altrettanto brutto e duro marcio, che rivendicano la legittimità di esserlo per non nascondere, e pertanto non poter affrontare, il male che le circonda. Olivia Rodrigo, con Guts, non conduce questo modo di pensare agli estremi di creatività, onestà e grazia lirica delle sue colleghe. È più semplice e diretto, con metafore e linguaggi meno ricercati ed espressioni emotive più terra-terra. Oltre a una sensibilità più esplicitamente pop, riconoscibile, “filtrata”.

Autentico è però lo sguardo: Olivia Rodrigo, anche più di Billie Eilish alla pubblicazione di Happier Than Ever, è una ragazza giovane che canta per un giovane pubblico. Questo aiuta non solo a scusare e contestualizzare – se non per forza ad apprezzare – la maggiore schiettezza del materiale a disposizione, ma anche a fornire a Guts una sua identità. La giovinezza che appare in Guts non è una riconquista dei propri spazi, un luogo di scoperta di sé. Piuttosto una terra di nessuno, senza indicazioni, in cui anche i consigli dei propri cari e le rassicurazioni di chi ci è passato prima di lei perdono di significato.

Come le protagoniste del recente film di Netflix Do Revenge – in cui la sua canzone Brutal viene utilizzata per presentare una delle due antieroine – Olivia Rodrigo è consapevole dei suoi sentimenti negativi, e nonostante possa guardare in faccia i suoi lati più brutti non soffre particolarmente per la loro esistenza. Quando parla di relazioni che si prosciugano, falsi amici con cui non si può nemmeno più fingere un’intesa, e del malessere generale della sua esistenza come donna, come giovane donna, come Olivia Rodrigo, non si abbandona al melodramma se non in modo ironico. Come a dire seccamente “niente da fare, siamo ancora a questo punto”. Non è piacevole, ma va così.

“Odio la mia mente marcia/e quanto ti venera”, canta Rodrigo in Lacy, per poi procedere nella successiva Ballad Of A Homeschooled Girl, a ironizzare sulle sue imperfezioni a livello sociale con un cinismo pungente. Sono le classiche battute sulla morte, autodeprecanti (“non fatemi uscire di casa/è un suicidio sociale/voglio appallottolarmi e morire”) alle quali è famigliare il pubblico giovane, e in cui certamente si riconoscerà. Comunicate, però, con quel giusto piglio ironico che aiuta a comprendere che non si tratta del tutto dei suoi pensieri, ma di una trascrizione dei medesimi compiuta a posteriori.

Oppure si prenda Pretty Isn’t Pretty, che sin dal titolo mette a nudo le sue intenzioni. È un self-empowerment anthem, una denuncia alla società patriarcale dell’immagine e agli effetti nefasti che standard di bellezza irraggiungibili per volto e fisico possono avere sulle donne e, soprattutto, le ragazze giovani. Un soggetto noto, manifestato in una varietà di modi che vanno dalla lotta romantica (Beautiful di Christina Aguilera), al riflessivo (Unpretty delle TLC) al malinconico (Pretty Hurts di Beyoncé). Di converso Pretty Isn’t Pretty, luogo designato per una delle “bombe f” ormai marchio di fabbrica di Olivia Rodrigo, non conduce a una conclusione luminosa. “Nulla di tutto ciò conta, e nulla finisce/ti senti solo di merda, ancora e ancora”. Pura frustrazione, senza una via di fuga plausibile. Ma solo l’atto del raccontarla in musica, con la consapevolezza che qualcuno da qualche parte condividerà, fa parte della sua resistenza.

Rimane un album pop nel suo profondo, con influenze da correnti, come il bedroom pop e il pop-punk, che fanno ufficialmente parte del mainstream. Il suo essere un lavoro giovanile, nel target e nell’età della sua esecutrice, non lo allontana da una certa ingenuità. Tracce come All-American Bitch, Vampire e Get Him Back si reggono su metafore accattivanti, ma non particolarmente cerebrali e cariche di melodramma. L’ultima, in particolare, si rifà alle immagini eccessive di amore violento presenti in Kiss With A Fist di Florence + The Machine, ma molto meno eccessive. Se Florence dava fuoco al letto coniugale, Olivia Rodrigo insulta il suo ex ragazzo davanti a sua madre e gli graffia l’automobile con una chiave. La differenza si sente e si vede.

Contenzioso potrebbe essere anche l’uso delle parolacce, presente sin dal debutto (indimenticabile il “I still f***ing love you” di Driver’s License) e ancora più marcato in Guts, che lo sfoggia sin dai titoli delle tracce. Come lo è, dopotutto, quando ne fa uso una persona giovane nella vita reale. Paradossalmente, in un album così immerso nell’annui giovanile, rappresentano un vantaggio. Non solo nel testimoniare, in modo fattuale, la volontà di Rodrigo di allontanarsi dalla Disney e costruire una sua identità sin dall’inizio, ma nel realismo psicologico della loro presenza. Sono situazioni in cui verrebbe naturale imprecare, ed è così che le tracce si completano. Il “bloodsucker/famef***er” presente in Vampire non sarebbe altrettanto forte senza l’immagine volgare.

Ed è questo, alla fine, che piace di Olivia Rodrigo – e lei lo sa bene. La sua capacità di rendere pop la sua onestà sui suoi pensieri e sulla sua situazione, di farla brillare in uno spazio astratto dove tutti, anche se non sono vicini a ciò che le è accaduto, possono riconoscersi in essa. Strumenti conosciuti, esecuzione competente, una mano non esperta ma raffinata.

Guts è un album promettente, che si inserisce in una cultura pop giovanile che non estetizza, ma nemmeno denigra, le situazioni del suo giovane pubblico. La penna autoriale bilancia per bene l’umorismo con la crudezza, rappresenta la tristezza in modo pregnante, ma non lacrimevole, e accoglie l’amore e la vita in tutti i suoi lati brutti. Senza dimenticare, naturalmente, di farne vedere anche le crepe e le sfumature negative.

“Hai tutta la vita davanti, hai solo diciannove anni”, scrive Rodrigo nella traccia finale, Teenage Dream. “Dicono tutti che migliora/che migliora, ma se non lo fa?”. Difficile trovare risposta a questa domanda, ma un pensiero rassicura: qualunque risposta Olivia Rodrigo ne darà in futuro, varrà la pena di essere ascoltata.

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