Che cos’è
Un piano quadriennale di cooperazione tra l’Italia e il continente africano presentato da Giorgia Meloni al summit Italia-Africa del 28 e 29 gennaio che prevede un investimento di 5,5 miliardi di euro così divisi: circa 3 miliardi dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo. I cinque pilastri del piano prevedono investimenti in: istruzione e formazione professionale, salute, acqua, energia, agricoltura. Il progetto è quello di “coinvolgere le istituzioni finanziare internazionali, le banche multilaterali di sviluppo, l’Unione europea e altri Stati donatori e agevolare gli investimenti nel settore privato”.
La Cabina di regia è composta dal Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dal Vice Ministro delle imprese e del Made in Italy, dal presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dal direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dal presidente dell’ICE-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, da Cassa depositi e prestiti S.p.A, SACE S.p.A. e Simest S.p.A.
A svolgere un ruolo chiave negli investimenti saranno le società partecipate: Eni, Enel, Leonardo, Terna, Acea, Snam, We Build, Fincantieri.
Gli obiettivi
Le intenzioni principali della presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul piano di cooperazione sono chiare: contenere i flussi migratori e puntare sui biocarburanti per ridurre le fonti energetiche fossili e così la dipendenza dal gas russo. Inoltre, uno degli scopi dichiarati dal Governo italiano è quello di rendere l’Italia un importante hub energetico del Mediterraneo.
Per quanto riguarda le società che aderiscono al piano, occorre ricordare che il gruppo finanziario SACE è il sesto finanziatore pubblico di combustibili fossili al mondo, mentre Eni, Enel, Snam, sono storicamente attive in Africa nelle attività di estrazione di gas oltre che negli investimenti in energie rinnovabili.
I progetti pilota
Gli esempi accennati da Meloni includono un «centro di eccellenza» universitario in Marocco, lo sviluppo di servizi sanitari in Costa d’Avorio (dove Eni ha all’attivo diversi progetti riguardanti il gas), il monitoraggio satellitare delle colture in Algeria, un centro «agroalimentare» per l’export di settore in Mozambico, lo sviluppo di pozzi e reti idriche nella Repubblica democratica del Congo e nuove tecnologie per la coltivazione di cereali in Egitto.
I detrattori del piano commentano che si tratti di iniziative già avviate e già opportunamente finanziate e non è un caso che in quasi tutti i paesi protagonisti vi siano investimenti delle partecipate nel settore dei combustibili fossili. Invece, dei paesi che non hanno partecipato al summit, Mali, Nigeria e Burkina Faso, i primi due hanno visto Eni ritirarsi negli ultimi mesi per via dell’instabilità politica che li caratterizza.
Si può dire che con il piano Mattei – proprio come il nome lascia intendere – continui la corsa al gas, iniziata da Mario Draghi nel 2022, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, attraverso accordi di fornitura con l’Algeria, il Congo, l’Angola e il Mozambico.
Anche lì dove si punta sulla decarbonizzazione e sull’uso di biocarburanti, si tratterebbe di alimentare una tendenza dannosa per i paesi in via di sviluppo in generale e per l’Africa in particolare, dal momento che le biomasse richiedono significative estensioni di terre coltivabili: l’Africa Sub-Sahariana risulta essere il principale obiettivo delle operazioni di “land grabbing” (accaparramento di terra). Già diversi anni fa, secondo un report di Oxfam, l’Africa rappresentava il 50% (18,8 milioni di ettari) del totale degli investimenti per acquisizione di terre per la produzione di biocarburanti a livello globale.
Le imprese italiane sono molto attive in questa corsa che depaupera i paesi delle terre coltivabili, di produzione di cibo, di massicce quantità di acqua. Che gli investimenti in biocarburanti non siano la panacea per ridurre le emissioni è abbastanza noto ai paesi africani, ma a quanto pare meno a chi fa la parte della “madrepatria”.
Le critiche
Un’operazione neocoloniale secondo il Movimento 5 Stelle e l’Alleanza Verdi Sinistra; per Italia Viva e Pd è “una scatola vuota”, soprattutto dal momento che le coperture economiche non sono citate nel decreto. Per le opposizioni, in definitiva, non si tratta di nulla di nuovo dal momento che i progetti italiani del piano esistevano già e non vi è un nuovo stanziamento di fondi, ma si attinge a quelli già esistenti.
Se lo scopo “principe” è ridurre i flussi migratori, sarebbe opportuno un piano parallelo che garantisca migrazioni sicure, oltre che investimenti a lungo termine e progetti non dettagliati con resoconti periodici. Invece di un piano “paritario” e “non predatorio” come da dichiarazioni della Presidente del Consiglio, sembra piuttosto un “aiutiamoli a casa loro” di memoria leghista.
Critiche più strutturate provengono poi dagli stessi leader africani: durante il summit del 28 e 29 gennaio, il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, ha dichiarato al vertice che i paesi africani avrebbero voluto essere consultati in anticipo.
Il presidente del Kenya William Ruto ha citato “l’elefante nella stanza”, il gas, sottolineando l’ambivalenza di certe iniziative: da una parte non si possono obbligare paesi in via di sviluppo che non hanno mai beneficiato a sufficienza dei combustibili fossili (e del benessere che ne è derivato nel primo mondo) ad abbandonarli totalmente per un passaggio repentino alle rinnovabili, dall’altra ha comunque dichiarato l’intenzione di “decarbonizzare” totalmente il paese che governa con l’uso delle rinnovabili entro il 2050.
Infine, diverse associazioni africane si sono pronunciate per il fatto di non essere state consultate nelle contrattazioni in una lettera diretta al summit: “il coinvolgimento dei partner africani potrebbe essere limitato alle élite e alle multinazionali africane, escludendo la voce della società civile”, scrivono.
Persino l’agenzia France24, nonostante la torbida storia coloniale francese, titola “Il piano Africa del primo ministro Giorgia Meloni scambia gli investimenti energetici con i freni all’immigrazione”.
Verrebbe da dire “da che pulpito” ma, tutto sommato, convincente.
Angela Galloro