Prostituzione e sex work. Un dibattito viziato

Prostituzione e sex work. Un dibattito viziato

Prostituzione e sex work. Un dibattito viziato
Prostituzione e sex work. Un dibattito viziato

I tre femminicidi di Martha Lucia Castaño Torres, sessantacinquenne colombiana, e di due donne cinesi, Yang Yun Xia, qurantacinque anni e Li Yan Rong, cinquantacinque, del 17 novembre 2022 sono stati un’altra occasione mancata per affrontare il tema della prostituzione in Italia. Dopo l’iniziale sgomento e con la cattura del presunto assassino Giandavide De Pau, la vicenda avvenuta nei pressi della Città Giudiziaria di Roma è già caduta nel dimenticatoio. Dal canto loro, le diverse voci del femminismo italiano hanno reagito stancamente agli avvenimenti, nonostante i femminicidi a danno di donne prostituite siano, se possibile, particolarmente più odiosi e infami.

La debolezza delle reazioni non è un caso poiché il tema della prostituzione è uno dei più divisivi all’interno del movimento femminista, tanto che qualcuno potrebbe contestare l’uso stesso dei termini prostituzione e prostituta.

E’ una scelta terminologica che ho compiuto a partire dai pochi elementi che si dispongono sulle vittime. Delle tre donne, sappiamo che Martha Lucia Castaño Torres viveva in Italia dal 2012, aveva cinque figli rimasti in Colombia e si prostituiva per mantenere la più piccola . Sul numero del 30 novembre de La Stampa, è comparsa un’intervista della giornalista Flavia Amabile a una prostituta cinese che lavora in un “centro massaggi” del quartiere Prati di Roma. Ad Amabile, la donna ha raccontato di lavorare come prostituta per permettere alle due figlie rimaste in Cina e che non vede da cinque anni di terminare gli studi. Non sappiamo molto di Yang Yun Xia e Li Yan Rong, se non che quest’ultima aveva un figlio rimasto in Cina e che non vedeva da tempo, ma è legittimo chiedersi se anche loro si prostituissero per la stessa ragione . Così come lo è domandarsi se quando si è costrette a prostituirsi per permettere alle proprie figlie di studiare, sia altrettanto corretto parlare di sex work, ovvero di lavoro sessuale in quanto scelta liberamente compiuta tra altre disponibili.

 

Le origini del termine sex work non sono facili da stabilire. Probabilmente una delle prime organizzazioni nate sotto questo segno è il collettivo statunitense COYOTE [1], acronimo di Call Off Your Old Tired Ethics (Basta con la vostra vecchia morale), fondata a San Francisco nel 1973 da Margo St. James e a cui si unisce più tardi Carol Leigh. Quest’ultima, deceduta all’età di 71 anni lo scorso 16 novembre, avrebbe coniato nel 1982 il termine “sex work” con lo scopo di “[riconoscere] il lavoro che facciamo piuttosto che definirci per il nostro status” . Il termine giunge in Italia nella prima metà degli anni Ottanta con il Comitato per i diritti civili delle persone prostitute fondato da Pia Covre e Carla Corso e che ha come obiettivo principale quello di riconoscere alla prostituzione la dignità di mestiere . Da posizione estremamente minoritaria all’interno del movimento femminista italiano, quella del riconoscimento della prostituzione e quindi della sua regolamentazione diviene una posizione sempre più condivisa.

Spartiacque nell’affermazione di questo punto di vista è la nascita del movimento “Se non ora, quando?” tra il 2010 e il 2011 in seguito allo scandalo “Ruby-gate” . Le organizzazioni femminili che confluiscono in SNOQ protestano contro l’oggettificazione del corpo femminile rappresentato sulle reti tv e i giornali dell’impero massmediatico berlusconiano, scagliandosi indirettamente contro le escort coinvolte negli scandali e protestando per un sistema più equo e attento alla parità tra i sessi. In questo attacco si inserisce la protesta, certamente minoritaria ma rilevante, delle associazioni pro sex work.

Rimini, Ruby Rubacuori (Karima El Mahroug) ospite d'onore alla discoteca Paradiso.

Cinque anni più tardi, il 26 novembre 2016 le strade di Roma vengono invase dalla manifestazione di massa di Non una di meno, movimento che dall’Argentina si afferma in molti paesi di Europa e America. In aperta rottura con il femminismo della seconda ondata, in Italia Non una di meno si converte in movimento transfemminista [2] che riconosce e fa proprie le posizioni e le rivendicazioni delle associazioni pro sex work nel Piano femminista contro la violenza maschile . Pur mantenendo la condanna alla tratta, le transfemministe si dibattono in una serie di contraddizioni laceranti che hanno causato un aspro dibattito interno e infine l’abbandono del movimento da parte di molte attiviste femministe.

Nelle medesime contraddizioni si era già dibattuta una illustre associazione come Amnesty International. Quando nel 2015 Amnesty approva una risoluzione in cui si pronuncia a favore della regolamentazione della prostituzione, non si è fatta attendere la dura replica di Adelina Sejdini, donna di origine albanese ed ex vittima di tratta che, il 10 novembre 2021, si è uccisa a Roma buttandosi da un ponte. L’apporto di Adelina alla lotta contro lo sfruttamento della prostituzione è stato essenziale. Condotta in Italia dall’Albania con l’inganno, denuncia i suoi aguzzini e contribuisce all’arresto di una rete di quaranta sfruttatori. Ma come sottolineava nella sua lettera ad Amnesty, dopo essersi liberata dal racket Adelina non è mai riuscita ad avere alcuna possibilità lavorativa, né alcun tipo di aiuto dallo stato italiano. Come se non bastasse, nonostante l’importante lavoro di denuncia e attivismo contro la tratta, ad Adelina non verrà mai concessa la cittadinanza italiana. Sejdini rifiutava il termine sex work, e come lei tutte coloro che si riconoscono nel neo-abolizionismo che trova la sua espressione nel cosiddetto “modello svedese” adottato in Svezia, Islanda, Norvegia, Irlanda, Francia e Spagna. Aspramente criticato dalle associazioni favorevoli al sex work, esso prevede una punizione esclusivamente per il cliente e non per la persona prostituta.

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In Italia è attualmente in vigore la legge 75/1958, conosciuta con il nome di Legge Merlin, con cui viene istituto il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e che non punisce l’attività esercitata in strada o negli appartamenti. Nel febbraio 2022 la Senatrice del Movimento 5 Stelle Alessandra Maiorino ha svolto un’importante indagine conoscitiva sul tema e presentato un disegno di legge che va precisamente nella direzione neo-abolizionista . L’attuale governo guidato dalla Presidente Meloni non ha una posizione chiara sul tema, anche se in un’intervista del 2019 Giorgia Meloni si era dichiarata favorevole al modello svedese. Se davvero volesse portare avanti il progetto di Maiorino, Meloni dovrebbe fare i conti con la posizione della Lega, favorevole non solo a regolamentare la prostituzione ma anche alla riapertura delle case chiuse .

Le associazioni pro sex work (e di conseguenza il transfemminismo) si sono scagliate da subito contro il ddl Maiorino, pronunciandosi a favore della regolamentazione della prostituzione . L’argomentazione principale riguarda la tutela della vita delle donne che scelgono di prostituirsi . Scelta, autodeterminazione: due termini che ricorrono spesso nel dibattito e che sono viziati da una precisa concezione di libertà. Il vero non detto delle associazioni pro sex work riguarda infatti il tema della scelta e il contesto in cui questa viene maturata.

Di quale libera scelta parliamo, cioè, quando parliamo di prostituzione? Chi sono le donne che scelgono di prostituirsi, qual è la loro condizione economica e sociale di partenza e quali e quante sono le opportunità di lavoro a loro disposizione? La rimozione di questi aspetti dal dibattito è il nucleo centrale della discussione, che ne risulta così falsificata. Se ammettessimo invece che Martha Lucia Castaño Torres, Yang Yun Xia e Li Yan Rong fossero state obbligate a prostituirsi esclusivamente a causa della loro condizione economica e sociale e dalla impossibilità di accedere a un impiego e un salario accettabili, sarebbe legittimo riferirsi a loro come “sex workers” alludendo così a una scelta compiuta senza alcuna coercizione, come alcune transfemministe hanno fatto in un comunicato ? Ma soprattutto, quanto e come cambia un movimento che nel secolo XX aveva affermato la sua capacità rivoluzionaria proprio nel segno della lotta al patriarcato, quando di questo sistema accetta l’espressione di sfruttamento più elementare?

 

Note:
[1]. Sui finanziamenti al collettivo COYOTE cfr. quanto sostenuto dalla giornalista Julie Bindel in “Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione”, Vanda Edizioni, 2018.
[2]. Con il termine “transfemminismo” si intende quella forma di femminismo che ritiene che il genere sia un costrutto sociale e, in quanto tale, strumento di oppressione. Viene così ribaltato il postulato del pensiero della differenza, catalizzatore del femminismo della seconda ondata, che mette l’accento sulla centralità della differenza sessuale.

 

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