Dopo l’acclamatissimo “Esterno Notte”, Marco Bellocchio è tornato nelle sale cinematografiche con “Rapito”. Il film, presentato in anteprima al festival di Cannes e in concorso per la palma d’oro, ha ricevuto sin da subito un’accoglienza calorosa da parte di pubblico e critica. Alla prima proiezione durante il festival francese è seguito un lunghissimo applauso degli spettatori in sala. La pellicola, ispirata ad un fatto realmente accaduto, è liberamente tratta dal libro scritto da Daniele Scalise “Il caso Mortara” e vede figurare tra gli sceneggiatori lo stesso Bellocchio. Al centro della vicenda narrata, ambientata a metà Ottocento, c’è Edgardo Mortara, un bambino ebreo di Bologna, che viene prelevato con forza dalla gendarmeria vaticana e separato dalla sua famiglia. Questa separazione è dovuta al presunto battesimo ricevuto dal bambino effettuato da una vecchia domestica cristiana della famiglia. Le leggi dell’epoca, infatti, vietavano a cristiani ed ebrei di vivere sotto lo stesso tetto. Il racconto, dunque, si svolge su due fronti: da una parte la nuova educazione che Edgardo è costretto a subire in un collegio romano in cui è stato trasferito; dall’altra, gli sforzi, vani, che la famiglia Mortara compie per riportare il bambino a casa da loro.
La storia del rapimento del piccolo Edgardo Mortara si interseca anche con la storia dell’unità d’Italia e del declino dello stato pontificio sia sul piano della reputazione sia sul piano dell’importanza politica nello scacchiere internazionale.
Tale film Rapito, infatti, oltre a raccontare del rapimento, tocca in modo brillante svariate tematiche, tutte proprie del cinema di Bellocchio sin dalla prima ora: c’è la critica al potere e alle istituzioni, la rivendicazione di condizioni subalterne e le lotte sociali. I personaggi che rivestono ruoli di potere sono tutti rappresentati come dei tiranni: dal perfido pretore PierGaetano Feletti, interpretato alla grande da Fabrizio Gifuni, arrivando fino a Papa Pio IX, impersonato magistralmente nei suoi deliri di potere da Paolo Pierobon.
Dal punto di vista tecnico il film è notevole: la ricostruzione scenografica dei collegi della Roma papale è convincente sin dal primo momento e anche i costumi, di una perfezione e di un candore quasi destabilizzante, degli impassibili uomini di chiesa sempre presenti nelle inquadrature contribuiscono a rendere il look visivo del film estremamente riuscito. La fotografia, curata da Francesco di Giacomo (già collaboratore di Bellocchio in “Esterno Notte”), restituisce alla grande quella sensazione di apparente stasi che nasconde grandi inquietudini che caratterizza il film. Anche la colonna sonora merita una nota di riconoscimento. Quest’ultima, assieme al montaggio, riesce a dare un giusto ritmo alla vicenda che, per via della prevalenza di ambienti quasi claustrofobici, rischiava di soffocare il film.
L’unica nota stonata, a mio avviso, in “Rapito” è costituita dagli effetti speciali ed effetti visivi presenti nel film. Questi, per fortuna davvero poco presenti nella pellicola, sono realizzati in modo davvero troppo grossolano per far parte di un film così minuziosamente studiato e realizzato.
Sebastian Angieri