Non (solo) un film
Quando si dice che il cinema preconizza la realtà. Meno di un anno fa, il 29 settembre 2022, usciva nelle sale italiane “Siccità”, l’ultima pellicola del regista toscano Paolo Virzì.
Una storia di fantasia, ambientata in una Roma del futuro che tanto somiglia a quella del presente, nella quale il Tevere si è prosciugato e i cittadini possono andare a passeggiare nel letto del fiume ormai scomparso. Una società nella quale a ogni persona è imposto un limitato consumo di acqua, sostanza preziosa come e più dell’oro il cui utilizzo è razionato.
Una società in cui, però, non tutti sono uguali: mentre la Capitale muore di caldo e di sete, in un lussuoso albergo termale a cinque stelle si fa uso e abuso di acqua senza pensare né all’oggi, né al domani.
Siccità e uso sfrenato dell’acqua: l’appello ONU
È un po’ la metafora del mondo nel quale viviamo: una consistente parte del nostro pianeta è afflitta dalla siccità, mentre un’altra – ricca, scialacquona – si riempie la bocca di politiche virtuose sul bisogno di ridurre l’uso dell’acqua mentre nei fatti la sperpera a più non posso o la imbottiglia e la rivende a caro prezzo. La parte del pianeta in cui noi viviamo. Fino a pochi anni fa, ci ritenevamo al riparo da problemi simili. Oggi non possiamo più ignorare questioni che, se un giorno nascondevamo sotto il tappeto come polvere, oggi sono qui, proprio sotto ai nostri occhi.
Pianeta Terra, anno di grazia 2023. Mese di marzo. L’ONU lancia l’allarme, per bocca del segretario generale Antonio Guterres: l’acqua viene prosciugata da “un uso insostenibile, inquinamento e dal riscaldamento globale incontrollato”. Il rischio di una crisi idrica globale è “imminente”. Ciò è dovuto soprattutto a due fattori: il “sovra-consumo” e un “sovra-sviluppo vampiresco”, come afferma il rapporto ONU. La scarsità di acqua diventerà presto la regola, e non una piaga da Terzo Mondo.
Italia, un brutto risveglio
Anche in Italia si comincia a prendere atto di quanto la situazione sia critica. Virzì, dopotutto, non c’è andato tanto lontano: anziché il Tevere, a prosciugarsi è stato il Po. Fiume che ha un ruolo essenziale nella produzione di molti alimenti che tengono alto il gonfalone del Made in Italy.
È proprio nel bacino del Po, nella Pianura Padana, che ha origine quasi un terzo dei produttori dell’industria agroalimentare italiana e la metà dell’allevamento di bestiame del nostro Paese.
La situazione, al momento, è spaventosa: il “fiume più lungo d’Italia” ha una portata ridotta del 70%, ed è in secca in molti tratti del suo corso. La situazione è critica soprattutto nel tratto di Cremona, dove la secca è a quota 7,40 metri sotto il livello dello zero idrometrico.
Che cos’è lo “zero idrometrico”? Si tratta, molto semplicemente, del livello standard per quel tratto di fiume o di lago, pari alla distanza tra fondo e superficie dell’acqua. Parametro che fa comprendere, numeri alla mano, quanto critica sia la situazione.
Il problema non colpisce solo i fiumi: pare che anche i principali laghi del Nord Italia (Como, Garda e Maggiore, ndr) siano pieni, rispettivamente al 22%, al 37% e al 44% della propria capienza.
Come è stato possibile?
Come siamo arrivati a questo punto? La tropicalizzazione del clima, accompagnata dalla scarsità di piogge e nevicate, sta sortendo i suoi catastrofici effetti. Ma la tropicalizzazione, non possiamo più ignorarlo, dipende anche e soprattutto da noi. Dall’inquinamento che produciamo.
Le poche precipitazioni atmosferiche, come ha ricordato recentemente Coldiretti, hanno un effetto anche sul tipo di colture che si iniziano a prediligere: soia e frumento al posto di mais e riso. Abbiamo tutti negli occhi l’immagine di Silvana Mangano mondina in pantaloncini con le belle gambe immerse nell’acqua delle risaie. Un’immagine che un domani potremmo non vedere, né ricordare, più.
Il riso è una coltivazione che richiede un uso copioso di acqua: stando a quanto riporta il sito del Water Footprint Network, per ottenere un chilo di riso grezzo si devono consumare quasi 2.500 litri di acqua. Per l’esattezza, 2.497 litri per chilo. Gli ettari di terreno destinati alla coltivazione di questo cereale, infatti, sono stati già diminuti di circa 8.000 unità.
L’acqua è essenziale, oltre che per abbeverare gli animali allevati per il consumo alimentare (i più bisognosi dei quali sono i bovini, ndr) e per nutrirli (con mangimi a base di mais), anche per colture chiave e per prodotti simbolo del Made in Italy come il Parmigiano Reggiano o il Prosciutto di Parma.
Le pratiche virtuose
La soluzione? Certamente bisogna iniziare a limitare in modo importante i consumi idrici, si devono raccogliere le acque piovane ed escogitare nuovi sistemi per non disperdere l’acqua che si può filtrare e riutilizzare in un nuovo ciclo.
E’ importante puntare anche alla manutenzione degli impianti idrici urbani, come garantisce di fare da anni ACEA: una maggiore manutenzione mira a ridurre al massimo le perdite di acqua.
Proprio ACEA riferisce che a Roma, nel corso del 2022, le perdite idriche sono calate del 27% a fronte di una media nazionale del 42%. Inoltre, è stato da poco sbloccato il progetto del raddoppio dell’Acquedotto del Peschiera, uno dei più grandi d’Europa. Pare che il Lazio, almeno per il momento, possa limitare i danni.
Tuttavia restano i numeri, impressionanti, del consumo di acqua. Ecco quelli rilevati dalla Società Italiana di Medicina Ambientale: ogni italiano spreca più di 245 litri d’acqua al giorno, di cui 30 per lavarsi i denti e 50 per farsi la doccia. Numeri che dovrebbero farci riflettere.
La “water footprint”
D’altra parte, è da anni che si invitano i cittadini a non sprecare l’acqua. E ad essere più consapevoli di quella che viene definita “water footprint”, l’impronta idrica determinata dalle abitudini di ciascuno di noi riguardo l’uso dell’acqua e gli alimenti dei quali ci nutriamo (che, per essere prodotti, richiedono l’utilizzo di un quantitativo maggiore o inferiore di questa risorsa).
Quattro anni fa il presidente del succitato Water Footprint Network, tale Rick Hogeboom tenne un illuminante TEDx Talk che vi invitiamo caldamente ad ascoltare. Ed è da alcuni anni che ACEA è impegnata su questo fronte: quest’anno, in occasione della Giornata Internazionale dell’Acqua, ha lanciato la campagna “Ogni Goccia D’Acqua”, “volta a diffondere a livello nazionale una cultura rispettosa della risorsa idrica, promuovendo comportamenti virtuosi per ridurre gli sprechi”.
La minaccia del cuneo salino
Mentre l’acqua dolce scompare, quella salata promette di dilagare: con l’erosione delle coste, sempre dovuta anche all’intervento umano, l’acqua marina, salina, sta raggiungendo anche i corsi d’acqua minori e le colture.
Si chiama “cuneo salino” e consiste nella risalita dell’acqua di mare nel corso di un fiume. Il fenomeno avviene perché la portata del fiume non è in grado di contrastare la risalita del mare ed è molto pericoloso per le colture, visto che ne ostacola l’irrigazione salinizzandone le falde. E rende inutlizzabile l’acqua tanto per le piante quanto per abbeverare gli animali.
Anche qui non può non venire in mente un vecchio film americano del 1995, Waterworld, con protagonista Kevin Costner: nel film, che allora fu definito di fantascienza e oggi potremmo quasi definire di attualità, il protagonista è un mutante in cerca dei quei pochi frammenti di terra ferma rimasti in un mondo che ora è sommerso dalle acque.
Il film era ambientato nel 2468, ma è prevedibile che una situazione del genere possa concretamente verificarsi con due-tre secoli di anticipo.
Le risposte da parte del Governo
Mentre #siccità diventa trending topic su twitter, la politica italiana cerca di rispondere all’appello dell’ONU. Mentre i Verdi incalzano il governo sulla questione, la premier Meloni si difende come può dalle accuse, senza proporre soluzioni costruttive al problema della siccità in Italia.
Ecco la sua replica al deputato Angelo Bonelli, che ha posto l’accento sul tema della siccità mostrando le foto dei sassi dell’Adige: “Collega Bonelli ho trovato interessanti i suoi sassi dellʼAdige ma credo che non intenda dire che in pochi mesi ho prosciugato io lʼAdige che nemmeno Mosè… io non sono Mosè, la ringrazio per attribuirmi poteri che non ho”.
Qualche giorno fa, Matteo Salvini ha annunciato possenti stanziamenti economici per contrastare il fenomeno: “Come ministero (delle Infrastrutture e dei Trasporti, ndr) stiamo sbloccando finanziamenti per progettare dighe e invasi, stiamo investendo molto per ridurre la dispersione idrica, perché salvare l’acqua è lavoro, ricchezza, salute e tutela dell’ambiente. Se qualche pseudo ambientalista per ideologia dice no a tutto, non ha capito nulla”.
Il problema, stando a quanto sostiene il Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, richiede anche la semplificazione della gestione idrica: “Ci sono più di 2.300 enti, di cui alcuni piccolissimi, e ci si rende conto di quanto è lo sperpero, dell’incapacità di fare investimenti robusti.
Ed è per questo che in Italia abbiamo il 40% dispersione di acqua e che raccogliamo appena il 10% acqua piovana, mentre la Spagna è al 37%. La necessità di intervenire in questo campo è resa ancora più impellente dalla siccità, dobbiamo realizzare invasi, piccoli e grandi, e stimolare l’impiego di tecniche più moderne nel sistema idrico, certamente anche nell’agricoltura”.
Speriamo che il tutto non si risolva nella solita polemica infruttuosa condita di meme con la Presidente del Consiglio nei panni di Mosé. Con la siccità non si scherza. E ci riguarda tutti.
Giulia Bucelli