La decisione di tenere aperto il 26 dicembre della proprietà di Castel Romano Designer Outlet è la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Dentro i negozi delle cittadelle dello shopping fondate dal miliardario statunitense J.W. Joey Kaempfer visitate da milioni di persone (moltissimi i turisti) alla ricerca di un capo scontato, c’è infatti una complessa gerarchia di controllo sui dipendenti per il raggiungimento dei KPI, acronimo di «key performance indicators». Si tratta degli indicatori della performance come il tasso di conversione (il rapporto tra numero di persone entrate nel negozio e vendite effettuate) e l’UTP (il numero medio di pezzi venduti per scontrino), incubo dei lavoratori della GDO.
«Tante persone entrano, tanti scontrini potenzialmente puoi fare. Se tu non hai fatto gli scontrini che dovevi fare, il problema è tuo», spiega Katia (nome di fantasia, ndr), riassumendo la filosofia di McArthurGlen che, attraverso i contapersone, controlla le aziende e i suoi dipendenti. Perché è proprio dalla performance del negozio (ovvero dalle sue vendite) che, ci racconta Mauro (nome di fantasia, ndr), dipende il rinnovo o meno del contratto di affitto di McArthurGlen all’azienda.
Si capisce allora perché dietro l’acquisto di un paio di pantaloni ci sono azioni di controllo che spesso sfociano in vessazioni ad opera di retail e area manager, che controllano gli store manager (i direttori dei negozi) che, a loro volta, sorvegliano i dipendenti, i quali devono convincere i clienti ad acquistare. Non solo. Mauro denuncia l’assurdità degli obiettivi di vendita, che devono essere raggiunti ovunque allo stesso modo, senza tener conto del contesto in cui si trova il centro commerciale: «Molte aziende stabiliscono il raggiungimento degli obiettivi supponendo che tutti i centri siano uguali. Comparano ad esempio le vendite raggiunte dall’outlet di Serravalle Scrivia con quelle di Castel Romano. Ma il centro di Serravalle è isolato, non ha altri centri con cui competere nel raggio di ottanta chilometri. I clienti che ci vanno, lo fanno per comprare, non per farsi un giro e, magari, hanno più potere d’acquisto. A Roma, invece, c’è una fortissima concorrenza tra centri commerciali. Ce ne sono tantissimi nel giro di pochi chilometri, senza contare che molti clienti vengono a farsi un giro per valutare dove fare l’acquisto più conveniente».
Ciechi e sordi alle differenze del territorio, non è raro che la gerarchia finisca per vessare i suoi dipendenti per il raggiungimento degli obiettivi, come denuncia Cinzia (nome di fantasia, ndr), che ha deciso di mostrare ad «Atlante editoriale» le e-mail settimanali che il retail manager del suo marchio inoltra a tutti i dipendenti dell’azienda: pressioni, continui richiami per il raggiungimento dei risultati, fino ad arrivare a vere e proprie offese personali. Inoltre, in occasione delle numerose giornate speciali dello shopping come il Black Friday, la Black Week, i Private Sales (solo per citarne alcuni), l’atmosfera si fa pesante. Cinzia ci racconta che non ha sempre lavorato a Castel Romano Designer Outlet. E la differenza la nota.
«Fino al 2012 ero dipendente in un altro centro commerciale e l’unico padrone che avevo era la mia azienda. La giornata lavorativa si concludeva alle 20. Qui a Castel Romano, invece, la giornata non finisce mai. Secondo le regole di McArthurGlen le pulizie, l’allestimento delle vetrine e del negozio e la manutenzione devono essere svolte a negozio chiuso, prima dell’orario di apertura o dopo la chiusura, se necessario anche in orario notturno. Due mesi fa abbiamo dovuto riparare l’impianto elettrico e per questo ho dovuto attaccare alle 5 di mattina, mentre in un’altra occasione siamo stati costretti a rimanere nell’outlet fino a mezzanotte per la sostituzione di una vetrina rotta. Tutte ore non retribuite».
Anche Katia denuncia «gli straordinari obbligatori non pagati, le pause saltate e la pressione alle stelle. Ho lavorato per aziende che mandavano messaggi a mezzanotte per sapere perché quel giorno avessimo ottenuto dei risultati, a loro avviso, insufficienti. Sono costantemente umiliata e obbligata a fare ore in più senza essere pagata. Una situazione allucinante».
«Le minacce e i ricatti sono all’ordine del giorno» conferma USB «Ma i lavoratori raramente denunciano. Per paura di perdere il posto».
Mobilitarsi contro un colosso come McArthurGlen (venticinque centri sparsi in otto stati tra Inghilterra, Francia, Olanda, Austria, Francia, Belgio, Germania, Italia e Canada; un fatturato che, nel 2017, ammontava a 4 miliardi e mezzo di euro) non è cosa da poco. Una lotta inedita, condotta in un settore estremamente sorvegliato dove, per la paura di perdere il lavoro, anche per i sindacati è difficile dialogare con i lavoratori. Eppure quella del diritto al riposo è una lotta che molti stanno abbracciando senza remore.
Con le sue aperture h24, sette giorni su sette, i padroni della grande distribuzione hanno, d’altra parte, educato il cliente alla perenne disponibilità di merci e i lavoratori alla flessibilità e reperibilità assolute. Nel tempo hanno ridefinito così il nostro concetto di limite e di essenziale. Con altrettanta forza, la pandemia da Covid-19 ha messo in discussione quelle certezze, mostrando i limiti della società del profitto fondata su richieste di performatività sempre più alte e insostenibili.
È proprio nel contesto della pandemia che si sono quindi aperti inediti panorami di lotta. Basta pensare al settore della logistica e al caso dell’Amazon Labor Union, il primo sindacato dei lavoratori di Amazon fondato nel 2021 a New York City da Christian Smalls. Trentaquattro anni, madre infermiera, padre in carcere, due figli da mantenere, Smalls, supervisor di Amazon, sfida il colosso di Jeff Bezos proprio durante la pandemia, quando aumenta la richiesta di produttività. In seguito al primo caso di covid, l’azienda si rifiuta di procedere alla sanificazione dei locali. Combinazione fatale di fattori che sfocia nella prima mobilitazione spontanea indetta da Smalls e che vede la partecipazione di un centinaio di persone. Oggi, il sindacato conta migliaia di iscritti.
Altro settore fondamentale durante la pandemia e che ha condotto e vinto una battaglia fondamentale è quello dei rider, anello di congiunzione tra la logistica e la GDO. Proprio in Italia, i fattorini si sono organizzati nella rete RiderXiDiritti, costringendo le piattaforme digitali delle consegne a domicilio come Deliveroo, Just Eat, Glovo e Uber Eat a farsi assumere, grazie all’intervento della magistratura milanese.
Dalla logistica alla grande distribuzione, nello scenario post-pandemico sembra profilarsi allora un futuro dove coloro che subiscono la dittatura dei risultati della prestazione lavorativa non si accontentano più di stare in un angolo, proprio come emerge dalle parole di Francesco (nome di fantasia, ndr), dipendente di Castel Romano Designer Outlet: «Da questa lotta – la prima da quando ha aperto l’outlet – mi sono reso conto che, tutti uniti, possiamo fare la differenza. Noi siamo ricattati da questo modello di centro commerciale, delle nostre vite non gliene frega niente a nessuno. È ora di farci sentire. Lavorare così non ha senso. Basta essere ricattati».