I risultati delle elezioni politiche non hanno particolarmente stupito analisti e sondaggisti. Così come hanno rispecchiato i sondaggi, nel caso dei vincitori pare abbiano anche ripagato le spese sostenute per la campagna elettorale, quantomeno su Facebook. Nell’ultimo mese, infatti, nella fase più calda della campagna elettorale, Fratelli d’Italia, il partito in cima alle preferenze, ha speso sulla piattaforma di Zuckerberg quasi 139.000 euro, seguito da Più Europa che ha speso su Meta 94.000 euro. Meno ripagati in termini di risultati i 73.000 euro spesi da Coraggio Italia, il partito di Luigi Brugnaro nella coalizione Noi moderati.
Matteo Salvini, il re della propaganda populista sui social di questi anni, a colpi di preghiere, corone del Rosario e pane e Nutella, ha speso “solo” 62.000 euro nell’ultimo mese su Facebook e Instagram dirottando sulla sua pagina personale i contenuti sponsorizzati dal partito Lega – Salvini Premier, con lo stile personalistico che lo contraddistingue.
Molto sotto il “Capitano”, il budget del Partito Democratico, che si assesta sui 46.872 euro, Giuseppe Conte e Carlo Calenda – che come Salvini – hanno promosso la propria pagina personale con il budget del proprio partito rispettivamente per 39.212 euro e 33.892 euro.
Fanalini di coda delle elezioni come dalla lista di Meta, i Verdi (30.987 euro), Italia Viva (29.230 euro), Nicola Fratoianni (24.599 euro) e Maurizio Lupi (23.830 euro).
Quasi si direbbe che le spese su Facebook pagano in termini di voti, se solo ci fosse un rapporto causa- effetto quando si opera a questo livello sui social, rapporto che decisamente non c’è, soprattutto sui temi politici. Ed è proprio sulle campagne politiche che il social network di Zuckerberg garantisce trasparenza dopo l’incresciosa vicenda di Cambridge Analytica che costò alla società della Silicon Valley 16 miliardi di dollari. Da quel momento Facebook monitora e pubblica su una libreria accessibile a tutti, utenti e non, ogni spostamento di denaro da parte dei partiti, ong e associazioni per sponsorizzazioni e pubblicità legati a “temi sociali, elezioni o politica”.
Grazie a questo strumento sappiamo che tra i soggetti che hanno speso di più per “temi politici” non ci sono solo partiti ma anche un’associazione, Action for Democracy Italia che ha investito nell’ultimo mese 66.565 euro, più della maggior parte dei partiti candidati. Si tratta di una costola di Actionfordemocracy.org, un network di supporto a iniziative progressiste in tutto il mondo a difesa della democrazia e dei diritti. L’Italia è al primo posto tra i “campi di battaglia” designati per la sfida di apportare “cambiamenti significativi, accelerati e a lungo termine alla società”.
La paura è quella del 25 settembre, i post della pagina di questa giovane e anonima realtà si fermano infatti al 20 settembre, ma i contenuti sponsorizzati negli ultimi giorni sono grafiche improvvisate dai contenuti semplici che lamentano le “bollette alle stelle” o generici post a favore dei diritti civili, per l’acqua pubblica e contro lo sfruttamento del lavoro. Un attivismo delle petizioni, come se ne vede tanto sul web, che però vuole dichiaratamente contrastare la destra e per questo motivo investe diverse decine di migliaia di euro in occasione del rinnovo dei governi dove questo pericolo è imminente (Brasile, Turchia, Polonia, Ungheria). Action for Democracy Italia fa parte a sua volta del network europeo ProgressiveActs, con sede a Bruxelles e che si occupa di fundraising per battaglie politiche (nel suo portfolio diversi candidati del Pd tra cui Stefano Bonaccini in occasione delle elezioni regionali in Emilia Romagna, Elly Schlein, diverse candidature alle regionali e alcune delegazioni dei giovani democratici). ProgressiveActs, secondo le dichiarazioni del suo fondatore David Rinaldi, è un laboratorio permanente che sostiene i candidati “buoni”, cioè quelli che sposano valori democratici e sostengono i diritti civili.
Anche Action for Democracy, oltre che finanziare velatamente le campagne elettorali su Facebook si occupa di creazione di community e lobbying “dal basso” dietro i motti “cambiamo insieme l’Europa, un’elezione alla volta” e “cambiare la rappresentanza si può, senza aspettare le elezioni!”.
Action for Democracy nasce nel gennaio 2022 proprio con lo scopo – dichiarato – di fermare la rielezione di Orban in Ungheria, finanziando abbondantemente il candidato di opposizione, Péter Márki-Zay che sostiene di aver ricevuto 1,8 milioni di fiorini ungheresi per la sua campagna elettorale dall’organizzazione americana. L’organizzazione nega tutto, con un’articolata dichiarazione del 29 agosto scorso: “Non supportiamo campagne elettorali, in Ungheria o altrove, solo organizzazioni civiche in prima linea nella difesa della democrazia”.
Presieduta da David Koranyi dell’Atlantic Council’s Global Energy Center, specialista di relazioni internazionali e con diverse pubblicazioni sul destino del gas mondiale, vanta nel board personalità di spicco tra politologi, politici, intellettuali, scrittori, militari statunitensi a “guardia” dei diritti umani in tutto il mondo. “Pensa globale, agisci globale” è il claim, mentre le sue sentinelle lavorano su singoli paesi annusando il rischio di vittoria delle destre. Per evitare alle nazioni i rimproveri di Joe Biden come quello che ha appena fatto dai microfoni della convention democratica a Washington “visto cosa è successo in Italia?”
In questa piccola guerra fredda di soft power, nessuno è innocente. Ma qualcuno è più colpevole di altri: solo qualche giorno fa l’intelligence americana ha desecretato un dossier che accusa il presidente russo Vladimir Putin di aver elargito 300 milioni di dollari a partiti politici in tutto il mondo per plagiare funzionari, politici e gruppi di potere, portarli a favorire Mosca e sabotare l’elezione di Joe Biden nel 2020. Ne sa qualcosa la Lega di Matteo Salvini accusata di aver ricevuto 49 milioni di rimborsi elettorali in qualcuna delle tornate precedenti di fondi russi.
Nell’agenda globale del metaverso, insomma, le elezioni per i parlamenti nazionali si decideranno sempre meno in casa.
La stessa Ursula Von Der Leyen in occasione dell’imminente vittoria di Fratelli d’Italia alle urne, ha dichiarato di poter mettere in atto degli “strumenti” per contrastare la deriva sovranista. Al Pd e a tutta la coalizione di centro sinistra non resta che chiedere aiuto (o crowdfunding) alle volenterose associazioni straniere che si risvegliano in periodo elettorale, questa volta però per costruire una valida opposizione.
Angela Galloro