«Non va disturbato chi produce. Non c’è welfare, non c’è stato sociale se a monte non c’è chi produce ricchezza»: è stato questo il passaggio del discorso di Giorgia Meloni più applaudito dall’assemblea di fondazione della ‘Confindustria Veneto Est’, riunita nella giornata di lunedì 28 novembre. La nuova rappresentanza imprenditoriale dell’Area metropolitana Venezia – Padova -Rovigo – Treviso sarà, per numeri, seconda solo ad AssoLombarda.
Quanto affermato da Meloni, in collegamento con l’assemblea degli industriali, rappresenta una sorta di lungo rimbombo o, se si vuole, una eco prolungata di quanto aveva già dichiarato al Villaggio Coldiretti prima ancora del giuramento dinanzi al Presidente della Repubblica.
Non disturbare il manovratore
Il 1 ottobre, infatti, aveva dichiarato che: «[…] Noi abbiamo fatto una campagna elettorale dicendo che ci saremmo dati come obiettivo di modificare il rapporto tra Stato e cittadini, tra Stato e imprese. E [abbiamo detto] che la nostra bussola sarebbe stata: “non disturbare chi vuol fare, non disturbare chi vuole creare ricchezza, non disturbare chi produce lavoro, non disturbare chi vuole assumere”. Usciamo da una legislatura in cui si è detto che si poteva abolire la povertà e creare ricchezza con un decreto, ma non è così. La ricchezza di questa Nazione la fanno le imprese con i loro lavoratori: lo Stato deve metterle nella condizione di farlo e semmai – da parte dello Stato – redistribuire e organizzare la parte di ricchezza che gli compete nel minore [sic!] dei modi».
Sarà stata certamente una svista, perché – in fondo – un difetto di pronuncia capita a tutti, specialmente se nelle prime fasi di un nuovo incarico così gravoso di responsabilità. Vien da pensare, tuttavia, alla teoria del lapsus cui comunemente viene associato il nome del dott. Sigmund Freud.
“Economia a pioggia”
La teoria di Giorgia Meloni, per cui una meglio assestata (quanto non dichiarata esplicitamente) trickledown economy favorirebbe tanto l’imprenditore quanto il lavoratore, lascia il tempo che trova. Non solo perché la teoria neoliberale statunitense non ha mai sortito realmente l’effetto sperato (ovvero, l’assunto secondo cui un beneficio economico a vantaggio di ceti abbienti favorisca l’intera società attraverso un processo “a cascata” – più o meno immaginifico – di soldi messi in circolo che arriveranno a favorire anche le classi sociali più disagiate e a coloro che vivono in povertà). Ma anche perché la situazione è ben diversa da quanto la narrazione del capitalismo nazionale lasci trapelare, nonostante le dichiarazioni di Carlo Bonomi a proposito della manovra del Governo: «Se rallenta l’economia e tu prepensioni, chi se ne va non sarà sostituito. E se riprende a correre l’economia e mancano i profili richiesti, non riesci ad assumere quelli che servono. Non è colpa nostra».
Salari bassi e lavori precari in costante aumento
Stando allo studio «I lavoratori e le lavoratrici a rischio di bassi salari in Italia», curato da Michele Bavaro (ricercatore presso l’Università Roma Tre) e pubblicato dal “Forum disuguaglianze e diversità” nel mese di novembre [2022]: un risultato che emerge è quello che analizza «il ruolo di tutte le forme lavorative non-standard o atipiche, diverse dal lavoro dipendente privato», nonché il rapporto tempo di lavoro-salario orario.
«Il numero di persone occupate con false partite iva, gig workers, impiegate in stage extra-curriculari o a nero, è molto rilevante in Italia ed in aumento. Questa classe di lavoratori è da considerare a fortissimo rischio di bassi salari», viene citato nelle conclusioni del rapporto.
Così come c’è da rilevare il fatto che l’Italia sia «l’unico dei paesi OCSE in cui c’è stata una riduzione del salario medio tra il 1990 e il 2020 (circa 3 punti percentuali) e nello stesso periodo sono aumentate anche le disuguaglianze salariali, in particolare tra gli anni ’90 e la seconda metà della prima decade degli anni 2000. Nel periodo tra il 1990 ed il 2017 l’indice di Gini [1] del reddito da lavoro è passato da 36.6 punti nel 1990 al valore di 44.7 nel 2017».
Per provare a invertire la tendenza c’è bisogno di un lavoro su più fronti: «Occorre un salario minimo decente, contrastando, anche grazie al rafforzamento della contrattazione collettiva, sia la concorrenza al ribasso dei salari sia la frammentazione delle categorie contrattuali. Occorre più lavoro: la bassa intensità lavorativa è all’origine della povertà di tanti lavoratori. E occorre porre fine alla moltiplicazione delle forme contrattuali non standard nonché rivedere il sistema degli ammortizzatori sociali e degli eventuali sostegni al reddito di chi resta lavoratore povero».
Manovra e modifiche
«Segnalo che abbiamo liberato 30 miliardi per destinarli interamente al caro energia. Questo non ci ha impedito di dare segnali come la decontribuzione, il taglio al cuneo fiscale, il rinvio della ‘Sugar e plastic tax’, il dimezzamento della tassazione sui premi di produttività e la detassazione dei ‘fringe benefit [2]’. Più della metà delle risorse che abbiamo messo in campo è destinata alle aziende», ad ammetterlo è Giorgia Meloni stessa nella lunga intervista concessa al «Corriere della Sera» martedì 29 novembre a cura di Luciano Fontana.
Pacificato il settore aziendale, dato l’incalzare di Bonomi, si attendono nuove dai vertici della direzione generale della commissione europea che si occupa di Pnrr e conti pubblici: il parere dell’Ue è fondamentale per il placet alla manovra che, ad ogni modo, sta già cambiando pelle e per cui il tempo stringe. Il reddito di cittadinanza potrebbe essere mutuato da lavori stagionali o saltuari (dunque andando a rendere ancora più precario un settore che ha subìto un’involuzione in termini salariali e di stabilizzazione); l’opzione donna per far sì che le lavoratrici possano andare in pensione “salta” e viene aumentata a 60 anni l’età minima per accedervi.
Si procederà a tappe forzate in Parlamento e, verrebbe da scommetterci, a suon di voti di fiducia per rispettare il crono-programma (di cui «L’Atlante» aveva dato conto).
La proverbiale “coperta” è dunque sempre “corta”: «Purtroppo abbiamo una finanziaria con pochi spazi di manovra, ma il governo ha l’ambizione di durare cinque anni», ha dichiarato il Ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ceriani. Il Paese abbia comprensione e, soprattutto, sarebbe meglio non disturbare: “stiamo lavorando per voi”. Il Governo durerà: tutto sta nel non turbare l’Ue, i mercati, il capitalismo nazionale.
Note:
[1] «L’indice di Gini dei redditi è un indicatore che misura quanto concentrati essi sono in un certo numero di persone. Vale zero quando i redditi sono distribuiti in modo perfettamente uguale fra i soggetti, e 100 quando invece vi è massima disuguaglianza». Infodata, L’indice Gini e le nuove mappe della disuguaglianza in Italia, «Il Sole 24 Ore», 24/10/2021.
[2] Cioè i beni aziendali non in denaro: buoni pasto su tutti, ma anche buoni acquisto in generale e via dicendo. Nel lessico aziendale il termine può anche voler significare l’emissione di un benefit una tantum ma sotto forma di acquisti di azioni societarie (le stock options).