Conflitti bellici, disastri climatici, instabilità economica, siccità, inondazioni sono la causa principale della preoccupante insicurezza alimentare che sta vivendo il Sud Sudan. Insicurezza alimentare amplificata dal congelamento, da parte di Donald Trump, dell’assistenza umanitaria statunitense, dopo i tagli all’USAID che ha costretto alla chiusura dell’80% delle cucine di emergenza costruite per far fronte alla fame durante la guerra civile nel vicino Sudan, secondo un’analisi della BBC. Dall’aprile 2023, quando è iniziato il conflitto, quasi 794.000 rifugiati e rimpatriati sudanesi, tra cui circa 476.000 bambini, sono fuggiti in Sud Sudan, secondo i dati Save The Children.
Stiamo parlando di una Repubblica nata nel 2011 nel centro-est dell’Africa, nazione più giovane al mondo, con 9 milioni di persone, cioè il 75% della popolazione, che hanno bisogno di protezione e assistenza umanitaria. Non solo. Ad aumentare la grave situazione sociale c’è anche un popolo di rifugiati scappati dal conflitto in corso nel vicino Sudan, costretti ad abbandonare la propria terra per mettere in sicurezza la vita.
Acqua pulita e kit igienici, sicurezza alimentare e cliniche oculistiche mobili
Gli interventi messi a punto da CBM Italia nel campo di Gorom, che accoglie 14.000 profughi, sono costantemente protagonisti nella vita quotidiana per garantire maggiore sicurezza sanitaria e alimentare a tutta la popolazione. Tuttavia servono operazioni urgenti e altre modalità di aiuto umanitario per offrire alle persone sia una vita dignitosa, sia una buona situazione sanitaria. È Massimo Maggio, direttore di CBM Italia, a porre l’accento, nel suo racconto, sulla sicurezza alimentare e, più in generale, sulla situazione della sanità.
A che punto è la situazione alimentare e sanitaria?
«Ad oggi, i bambini malnutriti sono 1,7 milioni e le persone che hanno bisogno di protezione e assistenza umanitaria sono circa 9 milioni (il 75% della popolazione). Oltre a queste, ci sono migliaia di rifugiati fuggiti dal conflitto in corso nel vicino Sudan; secondo l’ONU ogni giorno ne arrivano 1.500. I sistemi sanitari sono sovraccarichi, manca l’accesso all’acqua pulita o a servizi igienico-sanitari adeguati, le epidemie nel Paese continuano a diffondersi e stanno diventando sempre più allarmanti. Non ci sono abbastanza cibo e acqua potabile nelle aree in cui le persone si rifugiano, come il campo di Gorom, un campo profughi che è arrivato a ospitare 14mila persone (un’area pronta ad accogliere molte meno, circa 2.500) fuggite da massacri o da conflitti nei Paesi confinanti, famiglie le cui abitazioni sono state distrutte e che ora stanno vivendo in condizioni di grave povertà e incertezza».
Quali sono i rischi maggiori vissuti dalla popolazione?
«La mancanza di acqua pulita, le condizioni igieniche precarie e i sistemi sanitari al collasso favoriscono la diffusione e il contagio di malattie infettive anche molto gravi. Se consideriamo le malattie visive in Sud Sudan, la prevalenza di quelle non diagnosticate e trattate è alta, le più diffuse sono: la cataratta, le malattie tropicali neglette (NTDs) come il tracoma e l’oncocercosi, e altre patologie tra cui il glaucoma, errori refrattivi e cecità infantile. I nostri operatori sul campo riportano ogni giorno sempre più casi di bambini affetti dal tracoma, anche negli stadi più avanzati, e cecità permanenti per cause non trattate. Inoltre, il Sud Sudan è un Paese con uno dei più alti livelli di insicurezza alimentare e nutrizionale; secondo l’IPC (Integrated Food Security Phase Classification, che classifica le crisi alimentari e nutrizionali nel mondo) circa 7,24 milioni di persone – il 60% della popolazione – soffre per una crisi alimentare acuta».
Che cosa è importante fare con urgenza per limitare una possibile situazione critica?
«La nostra priorità – come CBM Italia organizzazione internazionale impegnata nella salute, l’educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità nel mondo e in Italia – è quella di essere presenti sul territorio con interventi di salute della vista, prevenzione di malattie tropicali neglette, sicurezza alimentare e accesso alle risorse idriche. Nel campo profughi di Gorom abbiamo avviato un progetto dedicato a 2.500 persone (1.500 rifugiati e 1.000 appartenenti alla comunità ospitante) per migliorare l’accesso all’acqua pulita e alle strutture igienico-sanitarie. Si chiama “Acqua, Igiene, Speranza: intervento Wash Inclusivo” e si concretizza – anche grazie al sostegno della Fondazione Prosolidar – nella costruzione di pozzi inclusivi con pompe manuali e la relativa formazione di meccanici per la loro manutenzione, la creazione di un comitato di gestione di tutte le strutture idriche e la costruzione di latrine accessibili; forniamo inoltre kit igienici specifici per le donne in età riproduttiva e incontri di sensibilizzazione sulla promozione dell’igiene. In parallelo abbiamo sviluppato sempre a Gorom, insieme all’associazione locale Across e con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il progetto “Nutrire il futuro”, dedicato alla sicurezza alimentare e rivolto a 550 persone, che prevede: la formazione sulla produzione e conservazione degli alimenti, le norme igieniche di base, le tecniche agricole resistenti al clima ed efficienti per la gestione dell’acqua. A questo si aggiunge la consegna di attrezzi da lavoro, strumenti di irrigazione e sementi. Infine, nell’area sono presenti le cliniche mobili non chirurgiche che portano i servizi oculistici del Buluk Eye Centre (BEC) di Juba, centro oculistico avviato dieci anni fa da CBM con il sostegno di AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) e punto di riferimento nazionale per la salute visiva, l’unico che dispone di un reparto oculistico pediatrico (da settembre 2024). Oltre agli interventi nell’area di Gorom, CBM Italia è presente in Sud Sudan con progetti specifici di prevenzione e cura di tracoma e oncocercosi».
Qual è la condizione psicologica delle persone?
«L’aspetto emotivo è quello più difficile da raccontare. Dobbiamo pensare a un Paese in cui l’estrema povertà e fragilità hanno creato un diffuso senso di disperazione; la maggior parte delle persone non ha più niente e, soprattutto chi vive da tanto tempo nei campi profughi, non intravede prospettive per il futuro. La più grande paura che abbiamo letto negli occhi delle persone e ascoltato dalle loro parole è quella di essere dimenticati. Sono queste ad esempio le parole di Magda, arrivata al campo di Gorom dopo essere fuggita da Khartoum, in Sudan, dove sono in corso massacri e violenze. Magda, che ha perso il marito e si trova sola a Gorom da circa un anno, insieme ai suoi 6 bambini, è una donna forte, è una madre forte, ma ha paura che il futuro possa essere troppo duro per i suoi bambini. “Non dimenticatevi di noi” – ci ha detto».
Come state affrontando il tracoma agli occhi?
«CBM Italia in Sud Sudan offre servizi di salute della vista integrati nel Sistema Sanitario nazionale, inclusivi (accessibili a tutti, in particolare ai più fragili) e comprensive, ovvero con una presa in carico completa dei pazienti: dalla prevenzione alle cure fino alla riabilitazione. Dal 2015, con il finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo sosteniamo il Buluk Eye Center (BEC), primo centro oculistico del Paese che, dalla fine dello scorso anno, dispone anche della prima unità oculistica pediatrica del Sud Sudan. Attraverso il progetto The Bright Sight (“Vista luminosa”), l’obiettivo di CBM è migliorare l’accesso ai servizi di prevenzione e quelli specialistici di salute visiva, pediatria oculistica e riabilitazione per le persone con disabilità. Tra le altre attività rientrano: la formazione del personale medico-sanitario, il decentramento dei servizi oculistici integrati anche negli ospedali di Rumbek e Torit; l’attività delle cliniche mobili – chirurgiche e non – nelle aree più remote per portare servizi oculistici e sensibilizzare le comunità. Con le cliniche mobili, infatti, portiamo i servizi oculistici del BEC anche nel campo di Gorom, raggiungendo circa 200 persone al giorno, a cui vengono effettuati screening oculistici gratuiti e donati medicinali e occhiali. Nel corso degli screening, una delle patologie che riscontriamo più spesso è proprio il tracoma, che in uno stadio avanzato può portare a una cecità irreversibile. Per questo motivo è fondamentale prevenire questa malattia e, una volta individuata, intervenire con la somministrazione di antibiotici e – nei casi più avanzati di trichiasi – con l’intervento chirurgico; le cliniche mobili ci permettono non solo di individuarla ma di agire con maggiore capillarità sul territorio. In generale il tracoma resta una delle priorità in termini di salute in Sud Sudan: come CBM da molti anni lavoriamo in diverse zone del Paese intervenendo laddove c’è maggiore necessità (come ad esempio nello Stato di Unity) applicando la strategia SAFE dell’OMS, un approccio integrato di intervento contro il tracoma che prevede: distribuzione di antibiotici, operazioni chirurgiche, costruzione di pozzi e latrine ed educazione alle corrette norme igieniche».
Francesco Fravolini