“La porta è sempre aperta – dice Filippo d’Alessio, direttore organizzativo del Teatro Tor Bella Monaca –, chi non sa cos’è il teatro deve poterlo scoprire. Qui entrano tutti. Quando questa storia è iniziata entravano anche quelli che facevano casino. Io però avevo capito dove volevo incidere. Veniva un gruppo di ragazzi che non aveva idea di cosa fosse il teatro. Erano adolescenti di periferia, gente dura, entravano a fare casino durante gli spettacoli. Avvertivo le compagnie dicendo che se fossero entrati, avrei acceso le luci in sala. Chiedevo loro di non farmi chiudere le porte, non volevo diventasse un luogo che respinge. Loro entravano a fare casino e io accendevo la luce mettendoli in imbarazzo. È successo per lungo tempo e continuavo a tenere la porta aperta per lasciarli entrare. Dopo un po’ non sono più venuti a fare casino, non entravano o entravano a vedere lo spettacolo”.
Il Teatro TBM è considerato una scommessa culturale, perché?
Perché nasce da una necessità di vivere la cultura che viene dal basso, un’idea di riscatto di una periferia che ha vissuto e vive dinamiche di disagio in cui confluiscono tante diverse identità, ciascuna con il proprio modello di vita. La sfida è stata creare un’identità nuova, attraverso la cultura. Nel ’94 con la giunta Rutelli e con l’assessore alla cultura Borgna si pensò che le periferie, anche Tor Bella Monaca, potessero ospitare eventi dell’Estate Romana. Grazie alla forte adesione degli abitanti del quartiere, si segue l’idea di Rutelli di partecipare al progetto Urban, riqualificare alcuni luoghi di cultura in maniera permanente, di fatto poi realizzato per noi negli anni Duemila.
Nel 2005 apre il Teatro TBM ma il lavoro sul territorio nasce prima, quando e come?
Nel 1985, dal primo incontro pubblico a Tor Bella Monaca con Renato Nicolini, nel neonato quartiere che iniziava a popolarsi. L’ipotesi di un evento di grande risonanza, l’Estate Romana, da realizzarsi in luoghi lontano dal centro della città, è stato il seme di un ragionamento su un quartiere aperto, senza barriere, un concetto nuovo di socialità. Modello che però in quel momento non si è realizzato, perché le vicende storico-politiche della città lo hanno permesso. Il Teatro TBM esisteva già nel ’85 e da lì fino al ’94, anno in cui si ha la prima svolta che dà seguito a eventi sorprendenti di questo percorso, i luoghi furono utilizzati in modo spontaneo, gestiti dal municipio. Non esisteva un concetto di teatro o la percezione che potesse incidere creando un concetto di comunità forte. Nel ’94 qui non c’era niente, ti davano le chiavi e aprivi. Mi mettevo al telefono a gettoni qui sotto dai vigili urbani, che erano gli unici aperti, e tutte le sere telefonavo alle persone, prima dieci poi venti poi trenta, per informarle di cosa andava in scena e chiedevo loro se volessero venire. Non c’era un ufficio, c’era un teatro teorico. Ho passato nottate al servizio di un processo che in seguito ha dato i suoi frutti. Ho messo le mani in questa storia dall’inizio, ne sono uno degli artefici, se non l’artefice. Dopo la laurea al DAMS di Bologna mi sono chiesto se volessi andare a cercare fortuna o provare a cambiare le cose qui. Ho deciso di provare qui.
Cosa accade con la chiusura del 2000?
Dal ’94 al 2000 la partecipazione agli eventi è cresciuta, gli spettacoli teatrali e i laboratori coinvolgevano anche cinquecento spettatori, con il cinema si è arrivati a tremila. Fu necessaria una trasformazione architettonica dello spazio. Il teatro rimase chiuso per sei anni e fu un momento difficile. Si trattava di mantenere il filo, di non perdere contatto con la gente, di non essere deludenti nella proposta e nella risposta. Gli eventi si spostano in “non luoghi” come il garage sotto al teatro. “Cinema di Raccordo” si chiamavano gli eventi video, per dire che il cinema non era più lì perché stavano ristrutturando ma gli spettacoli avvenivano in altri punti del municipio. Era ormai un diritto acquisito della cittadinanza, non ci si poteva arrestare, il lavoro fatto era troppo e con amore. Il progetto teatro, per me, deve essere in grado di arrivare a questa umanità, altrimenti sarebbe meglio che mi dedicassi ad altro.
Il Teatro TBM ha spostato il centro della città?
Sì, ha abbattuto il muro tra centro e periferia partendo dalla periferia, con progetti identitari e coerenti con il pubblico e il territorio, guardando alla città di Roma ma anche a realtà limitrofe che non hanno strutture teatrali. Il teatro come riferimento per la comunità è l’elemento determinate per questo risultato. Alla riapertura del 2006 il Teatro TBM viene affidato prima all’Eti, che propone una programmazione di nomi illustri, come punto di forza, e poi al Teatro di Roma. Appare evidente che quel modello non poteva rispondere alle richieste del territorio. Si pensò, erratamente, di poter esportare il modello del centro di Roma anche qui (come a voler educare dei poveri indios…), non adattandosi alla realtà locale, bensì forzando il sistema. Cosa che può funzionare, forse, altrove. Nel 2013 i teatri vanno a bando e vinciamo, da lì riparte quel progetto, mai interrotto, che finalmente trova casa. Invito Alessandro Benvenuti alla direzione artistica, convinto che grazie alla sua esperienza e al suo rapporto con l’arte, possa fare proposte di qualità, tenendo presente l’immaginario di questa comunità. La risposta è stata subito importante. “Un teatro degli affetti e non degli effetti”, come lo definisce Benvenuti. In un anno e mezzo, dal 2013 che apriamo al 2015 che ci chiudono, facciamo 70 mila spettatori. Oggi in questo municipio sono 280 mila e abbiamo portato a teatro 360 mila persone. È un teatro che ha assunto una centralità all’interno della città, frequentato anche da tanta gente della provincia e dell’hinterland.
Perché la chiusura tra il 2015 e il 2016?
Inspiegabile, secondo me. Inspiegabile è un eufemismo. Ancora non ne capiamo le ragioni. L’assessorato alla cultura del tempo chiude il teatro per un anno chissà per quale motivo. Sono state fatte conferenze stampa e denunce per manifestare il nostro assoluto dissenso. Potevano esserci altre strade nel rispetto delle norme della legge per evitare la chiusura. A ogni modo, nel 2016 rifacciamo il bando lo vinciamo e dal 2016 a oggi portiamo avanti il nostro progetto.
Quale saranno i prossimi appuntamenti del Teatro Tor Bella Monaca?
Sono pronti a partire ma non possiamo pubblicizzare la programmazione perché aspettiamo conferme dei bandi. Il teatro su Roma vive di costanti incertezza di sistema, sia nel pubblico che nel privato.
Carlotta Rondana