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The Northman: l’epopea della vendetta

The Northman: l’epopea della vendetta

Dopo il sorprendente esordio con The Witch, e la conferma con il capolavoro The Lighthouse, Robert Eggers torna al cinema con il suo nuovo film: The Northman.

Il film, uscito nelle sale italiane il 21 aprile, era uno dei più attesi di questa stagione cinematografica e non ha deluso né i fan né la stampa specializzata, sebbene non sia difficile trovare qualche parere discordante.

L’opera è incentrata sulla vita del protagonista, Amleth, e i motivi che per tutto il film spingono il protagonista ad andare avanti sono la vendetta e il desiderio di rivalsa, quest’ultimo inculcatogli dal padre nei momenti immediatamente precedenti alla sua morte. All’inizio del film, infatti, il piccolo Amleth vede con i suoi occhi lo zio, Fjölnir, uccidere suo padre e rapire sua madre. Salvatosi per miracolo dalla caccia all’uomo, mentre scappa da una terra che ormai gli è ostile, Amleth, divenuto in fretta un uomo, ripete come un mantra tra sé e sé che vendicherà il padre, ucciderà lo zio e salverà la madre. Successivamente, attraverso un’ellissi temporale, lo spettatore viene a conoscenza del fatto che dopo la fuga il ragazzo ha trovato riparo presso una banda di vichinghi e che questi ultimi lo hanno cresciuto ed educato sin da subito ad essere un guerriero, e più precisamente un Berserkr.

In una delle tante scorrerie della banda il desiderio di vendetta sopito viene ridestato da una veggente locale e Amleth si convince a raggiungere lo zio e ad ottenere l’agognata vendetta.   Benché la pellicola si rifaccia alla figura mitologica descritta da Saxo Grammaticus ripresa nella celebre tragedia shakespeariana, sono molteplici le differenze tra le due opere. La principale e anche la più significativa per il prosieguo della storia è il ruolo della compagna del protagonista: nel film infatti, è messo in scena un amore consumato che fa vacillare il protagonista e sembra quasi convincerlo, seppur per un fugace momento, a fuggire con l’amata piuttosto che proseguire nella via della vendetta. Tuttavia, com’era facilmente intuibile, il destino di Amleth, già segnato sin dall’inizio, è lontano dalla donna amata.

Sebbene la trama, qui brevemente descritta, possa sembrare piuttosto semplice e semplicistica, Eggers rende il film imperdibile grazie ad una regia impeccabile. Il regista non sbaglia una singola inquadratura, sia essa il dettaglio dell’anello regale o il campo lunghissimo delle montagne che delineano un paesaggio ostile e solitario. I movimenti di macchina sono perfetti e le scelte registiche, sempre motivate, non sono mai fini a sé stesse. Anche i combattimenti, meno frequenti di quanto ci si possa aspettare all’inizio della pellicola, sono ben coreografati, ottimamente diretti e mai confusionari. Al netto di questo va però esplicitato il fatto che il regista tocca il punto più alto nelle inquadrature strette e claustrofobiche (non a caso tutt’ora The Lighthouse, opera ambientata in un’unica location, resta il suo lavoro migliore). Per citare solo alcuni esempi significativi: i primi piani, chiaramente debitori di un’estetica espressionista, le scene oniriche dell’iniziazione o dei presagi e infine la scena del combattimento finale, in cui una coltre di cenere e fumo riduce i corpi dei due combattenti a ombre che si danno battaglia ai piedi di un vulcano in eruzione.   A coadiuvare la regia, intervengono un sonoro ineccepibile che contribuisce sin dai primi minuti ad immergere lo spettatore nelle particolari atmosfere del film e una fotografia meravigliosa, curata da Jarin Blaschke, già collaboratore di Eggers nelle sue due precedenti opere. Il direttore della fotografia statunitense contribuisce a rendere l’aspetto del film eccezionale attraverso un sapiente uso dei contrasti cromatici e grazie a giochi di luce e ombra che concorrono a rendere ancor più memorabili le inquadrature già citate in precedenza.  

Dal punto di vista produttivo, con The Northman, Robert Eggers si ritrova per la prima volta a rapportarsi con un metodo totalmente distante da quello del cinema indipendente o sperimentale; il budget del film (tra i 70 e i 90 milioni di dollari), il cast e la massiccia campagna pubblicitaria lo collocano infatti più vicino ad un blockbuster che ad un film d’essai. Nonostante ciò, anche in questa situazione il regista statunitense riesce a destreggiarsi in modo ottimo e a non tradire mai il suo gusto autoriale né tanto meno la sua poetica; tuttavia, per dovere di completezza, e per descrivere un difetto (uno dei pochissimi) presente nell’opera, va detto che in questa pellicola si avverte la sensazione che il cineasta abbia sacrificato un po’ la sostanza per raggiungere la perfezione nella forma. Nelle sue due opere precedenti infatti vengono toccati temi importanti che Eggers riesce a trattare e descrivere in modo convincente: in The Witch, ad esempio, il regista tratta il delicato tema dell’emancipazione femminile servendosi dell’archetipo della figura della strega; in The Lighthouse invece c’è un profondo studio sulle dinamiche create dal particolare tipo di rapporto che si instaura tra i due protagonisti e sulle conseguenze di questo. In The Northman il tema principale è la crisi interiore del protagonista che si trova costretto a destreggiarsi tra il desiderio di vendetta e il dubbio di percorrere questa strada fino alla fine. In questo senso il fulcro del film si colloca nella scena in cui Amleth parla con la madre, tutt’altro che desiderosa di farsi salvare, in cui quest’ultima le confessa di come sia stata lei a convincere l’usurpatore ad uccidere il padre e il figlio. Questa scena, che sottende anche alla presenza di elementi edipici (e qui probabilmente Eggers prende spunto dalle analisi di Freud e Lacan sulla figura dell’Amleto shakespeariano), resta tuttavia quasi isolata, poiché dopo un primo momento di dubbio che sembra stravolgere la trama delineata fino ad allora, Amleth ritorna quasi subito sulla via della vendetta. Questo ritorno viene spiegato in una scena che però non convince appieno lo spettatore e lascia in sospeso il discorso.

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