A quattro anni dal suo ultimo film, il regista britannico Ken Loach torna nelle sale con The Old Oak. La pellicola, già presente in concorso per la Palma d’oro al Festival di Cannes, è uscita nei cinema italiani il 16 novembre.
In questa sua ultima fatica, il cineasta porta sullo schermo un dramma, scritto dal suo storico collaboratore Paul Laverty (sceneggiatore anche di Sorry We Missed You, I, Daniel Blake, Il mio amico Eric, ecc), che vede al centro delle vicende raccontate lo scontro tra una comunità operaia, ormai decaduta, e un gruppo di rifugiati siriani giunto in Inghilterra a causa della guerra. Va aggiunto a ciò che la storia è ambientata nel 2016, anno in cui nel Regno Unito si votò il referendum sulla Brexit, e i personaggi mostrati appartengono proprio alla classe sociale che in maggioranza votò per il Leave.
In questo film, Ken Loach si serve di due comunità distanti e profondamente diverse per sottolineare il valore della solidarietà ed esprimere concetti che contrassegnano da sempre il suo modo di fare cinema. Da una parte ci sono i cittadini locali: abitanti di una città che un tempo basava la sua economia sulle miniere di carbone presenti sul territorio e che ora vive una profonda crisi economica e sociale; dall’altra ci sono i profughi siriani in fuga dalla guerra e da Assad.
Sapientemente, il regista non paragona le due sofferenze ma le fa dialogare: i protagonisti, chi per un motivo, chi per un altro, hanno un profondo bisogno di socialità e collettività. Grazie a questo bisogno, laddove riesce a crollare la barriera del pregiudizio, ognuno di essi trova nel diverso un nuovo compagno. Questa barriera, tuttavia, resiste forte in una parte di popolazione che non accoglie positivamente l’arrivo degli stranieri.
La regia è sobria ed elegante: Loach si sofferma principalmente sulle persone prima che sui personaggi mostrando con gran abilità, attraverso frequenti primi piani, i volti degli attori scelti: ognuno di essi, infatti, soprattutto gli interpreti dei due protagonisti, Dave Turner ed Ebla Mari, riesce a comunicare con lo spettatore ancor prima di aprire bocca. Va detto però che Loach sacrifica a volte la profondità e tridimensionalità dei personaggi in favore di necessità narrative: è, infatti, evidente che con The Old Oak Loach sia più interessato a mostrare una dinamica corale piuttosto che una situazione esclusivamente legata ai protagonisti. Questa scelta, seppur giustificata e, per certi versi comprensibile, impedisce al film di raggiungere una profondità ancora maggiore.
The Old Oak è un film necessario grazie al quale Ken Loach, per l’ennesima volta, ci obbliga a ragionare su tematiche che caratterizzano il tempo in cui viviamo. In questo periodo, il pensiero va ovviamente ai profughi siriani, protagonisti della pellicola, ma anche ai cittadini palestinesi che troppo spesso, al pari di altri ultimi, vengono ignorati o usati come capro espiatorio dalle società occidentali.
Sebastian Angieri