Lo scorso 15 settembre Ryan Wesley Routh, un uomo di cinquantotto anni abbastanza noto alle cronache statunitensi, è stato fermato dalla polizia su una strada di West Palm Beach, nel sud della Florida, ed è stato tradotto in carcere: è accusato di essere l’autore di un attentato ai danni di Donald Trump, candidato repubblicano alle presidenziali. Si tratterebbe del secondo attentato messo in atto contro l’ex presidente in meno di due mesi di campagna elettorale, dopo il ferimento di Trump che lo scorso luglio è costato il posto alla direttrice dei servizi segreti statunitensi Kimberly Cheatle.
La dinamica
Donald Trump la scorsa domenica stava giocando a golf al Trump National Golf Club di West Palm Beach, di cui è anche proprietario, insieme al suo amico e finanziatore Steve Witkoff, un noto palazzinaro che sta incrementando i propri guadagni anche grazie all’aumento dei livelli degli affitti in tutti gli Stati Uniti. Fra la quinta e la sesta buca gli agenti segreti di scorta al candidato repubblicano avrebbero sentito un rumore fra gli alberi: uno degli agenti avrebbe coperto il corpo di Trump con il proprio, mentre l’altro avrebbe iniziato a sparare verso gli alberi, dopo aver notato la canna di un fucile mitragliatore a circa 300-500 metri dal tycoon. Il sospetto attentatore, illeso, si sarebbe dileguato, e sarebbe stato fermato pochi minuti dopo dalla polizia di West Palm Beach. L’uomo è stato trovato in possesso di un fucile mitragliatore con la matricola abrasa.
L’attentatore era già noto alle cronache per gli stessi motivi che sembrano aver motivato il tentato omicidio del candidato repubblicano. I sui profili social sono un inno allo sforzo bellico ucraino contro l’invasione russa, e in un report del 2023 lo stesso Routh è indicato come il leader di una organizzazione che stava cercando di reclutare ex soldati afghani che avevano combattuto i Talebani per mobilitarli come volontari nell’esercito ucraino. Sul tema Routh aveva già rilasciato un’intervista per il New York Times, salvo poi essere indicato come «deludente e bugiardo» proprio da un ex combattente della Ukraine’s International Legion. Anche l’International Volunteers Center, organizzazione privata che si occupa di reclutare combattenti internazionali nel conflitto russo-ucraino e alla quale Routh era stato associato, si è smarcata dal personaggio, dichiarando la totale estraneità di Routh dall’organizzazione. Sentito dal procuratore subito dopo l’arresto, Routh ha dichiarato di essere estremamente insoddisfatto della posizione di Trump relativa alla guerra fra Russia e Ucraina. «Per me molti altri conflitti sono grigi, ma questo conflitto è del tutto bianco e nero» ha dichiarato Routh, «è una faccenda fra il Bene e il Male. Si tratta del copione di un film che abbiamo già visto, è il Male assoluto contro il Bene». Per il sospettato la prima udienza davanti a un giudice si terrà il prossimo lunedì.
La campagna elettorale
Nel frattempo, Donald Trump, uscito completamente illeso dal tentativo di aggressione, non ha mancato fin dalle prime ore di sfruttare l’evento per la propria campagna elettorale, con un tempismo che ha anche suscitato qualche perplessità, soprattutto fra chi non è abituato alla capacità del tycoon di declinare a livello elettorale ogni singolo avvenimento. Prima su Truth, il social media di proprietà di Trump e che curiosamente si chiama “Verità”, proprio come la Pravda di epoca sovietica, e poi in una mail ai propri sostenitori, l’ex-presidente degli Stati Uniti ha subito rilanciato l’accaduto in modo molto eloquente: «Ci sono stati dei colpi di arma da fuoco vicino a me, ma prima che le voci inizino a circolare voglio che sentiate questo per prima cosa: SONO SALVO E STO BENE. Nulla mi può abbattere: io NON MI ARRENDERÒ MAI». Il tono e le intenzioni sono chiari: presentarsi da un lato come l’uomo d’ordine invincibile, il candidato che può sopravvivere ad ogni avversità, e dall’altro come un martire che viene preso come bersaglio. In altre parole, siamo già usciti dalla cronaca degli eventi, ed è già cominciata – di nuovo – la campagna elettorale.
Fra i primi a rilasciare una dichiarazione in pompa magna alla NBC è stato proprio Steve Witkoff, il magnate delle costruzioni presente al momento dei fatti. Dopo aver descritto la dinamica degli avvenimenti, a proposito del tycoon Witkoff ha tenuto a precisare che prima di essere scortato nella sua residenza privata di Mar-a-Lago Trump si sarebbe assicurato personalmente della buona salute di ogni persona presente, compresi gli agenti segreti. «Trump è un tipo difficile da reprimere. Sai, il golf è un gioco fantastico per lui. Lo calma, è un posto felice per lui». Tutta la narrazione di Witkoff, magari sincera, magari costruita, è estremamente funzionale alla campagna elettorale di Trump, tutta protesa a presentare il tycoon come l’uomo forte che può “fare l’America grande di nuovo”. Infatti subito dopo Witkoff è passato ad attaccare Kamala Harris, giustificando le parole di Trump. «Sente che le sue convinzioni politiche sono molto di sinistra. Questo gli ricorda l’ideologia marxista. Lui dice semplicemente al pubblico americano come vede le persone che credono in un governo con ampi poteri, tasse pesantissime, Green New Deal, DEI (Programma di Diversità, Uguaglianza e Inclusione, nda)».
La vicepresidente degli Stati Uniti si è affrettata a commentare l’accaduto con uno stato sul social X, di proprietà di Elon Musk: «Sono contenta che stia bene» ha dichiarato in riferimento a Donald Trump, «la violenza non ha posto in America». Un commento di basso profilo, con uno stile che non trascina la questione sul terreno elettorale e che di certo non è condiviso dal figlio del tycoon, Eric Trump, che sui social ha dichiarato «Mio padre sta finendo le vite a disposizione. Quanti fucili ancora dovranno arrivare a distanza di tiro da lui?». Anche a livello più istituzionale le reazioni non si sono fatte attendere: Ron De Santis, ultimamente impegnato in una campagna antiabortista che include l’uso delle forze di polizia per schedare gli oppositori, come affermano alcuni critici, ha annunciato che lancerà una inchiesta a livello statale, parallela a quella già portata avanti dall’FBI a livello federale.
L’aurea salvifica che si sta costruendo attorno a Trump in questi giorni è confermata dalle parole di Lindsay Graham, senatore repubblicano del South Carolina e uno degli alleati più importanti di Trump, ha dichiarato di aver «appena parlato con il Presidente. È una delle persone più forti che io abbia mai conosciuto. È di buon umore ed è più determinato che mai a salvare la nostra nazione». Inoltre, nel marasma delle reazioni repubblicane che formano un coro sorprendentemente univoco, quasi ripetitivo, c’è anche qualcuno che pensa ai bambini: J.D. Vance, candidato alla vicepresidenza in ticket con Trump, ha dichiarato di aver parlato con quest’ultimo «prima che la notizia fosse pubblica e, incredibilmente, era di buon umore. C’è molto ancora che non sappiamo, ma comunque stasera darò ai miei bambini un abbraccio extra e dirò una preghiera di ringraziamento».
E ora?
La volontà dei repubblicani sembra molto chiara: stringere i ranghi attorno a Trump e provare a recuperare il terreno perso dopo il dibattito televisivo dominato da Kamala Harris. In realtà, parlando di conseguenze sul piano elettorale, per ora non si vedono grandi cambiamenti all’orizzonte. Secondo tutte le rilevazioni aggiornate al 19 settembre, cinque giorni dopo l’attentato, non si registrano cambiamenti significativi delle intenzioni di voto in nessuno Stato, nemmeno nei cosiddetti swing state (stati in bilico fra repubblicani e democratici, come Pennsylvania, Michigan, Wisconsin). Kamala Harris al momento secondo gli ultimi sondaggi è in testa di almeno due punti percentuali, che considerato il margine di errore delle rilevazioni (che può arrivare anche al 4%) non permette nella maniera più assoluta ai democratici di tirare un sospiro di sollievo.
Tuttavia, anche se questo secondo attentato a Trump sembra non aver mosso particolarmente gli equilibri elettorali, è certo che ci racconta qualcosa di un’America divisa e polarizzata, impegnata in una delle campagne elettorali più violente della propria storia, che ha pochi precedenti. Per ritrovare un attentato della gravità di quelli subiti da Trump bisogna risalire infatti a quello subito da Ronald Reagan nel 1981, quando John Hinckley Jr sparò alcuni colpi contro l’auto del presidente, che fu ferito e dovette passare diversi giorni in ospedale, ma sopravvisse.
In generale, al netto di questi episodi di violenza, è il clima in generale ad essere estremamente diviso fra sostenitori di Trump, sempre più estremisti, e una fetta di popolazione che è seriamente preoccupata dalle politiche che il tycoon potrebbe mettere in atto e che voterebbe chiunque per metterlo alla porta. Proprio per questo la competizione fra Trump e la Harris, che al netto delle critiche anche fondate che le muove una parte della sinistra americana appare oggi come una candidata molto più credibile di Joe Biden, è oggi sempre più accesa, e assume sempre i contorni di una battaglia fra due visioni completamente diverse del futuro degli Stati Uniti e dei suoi abitanti.
Davide Longo