La frontiera di Ventimiglia, il “confine dimenticato” tra politiche migratorie europee, diritti negati e la lotta quotidiana dei migranti
Attraversando il Ponte San Ludovico verso la Francia, è impossibile non notare un particolare insieme di massi sul lato della strada. Si chiama “Terzo Paradiso” ed è un’opera dell’artista Michelangelo Pistoletto, composta da cinquanta massi disposti in tre cerchi concentrici a rappresentare l’infinito e, simbolicamente, il superamento di ogni barriera. Da circa un anno, inoltre, su iniziativa di attivisti e volontari, l’installazione è stata ulteriormente arricchita da un memoriale dedicato alle vittime della frontiera, con i nomi e le informazioni di chi ha perso la vita nel tentativo di attraversarla.
Persone “dimenticate”, come la frontiera di Ventimiglia, che torna sotto i riflettori solo in momenti di alta tensione, per uno sgombero o per la morte di chi prova ad andare in Francia. Folgorate sui treni o investite in autostrada come lungo i binari, precipitati nei sentieri di montagna o annegati. Alcuni, esasperati, si sono tolti la vita proprio alla frontiera. Più le frontiere vengono chiuse e sorvegliate, più i tentativi di attraversamento diventano pericolosi. Queste vittime sono infatti il tragico risultato delle politiche di controllo delle frontiere italiane ed europee, sempre più militarizzate a partire dal 2015. Eppure, nonostante questo, la situazione al confine è spesso trascurata dai media e dall’attenzione politica. Come spiega Jacopo Colomba, project manager di WeWorld a Ventimiglia, l’interesse mediatico tende a riaccendersi solo durante periodi di picco negli arrivi, come nel 2023. Ma appena i numeri calano, l’attenzione svanisce. C’è anche una questione di visibilità: il flusso migratorio lungo le frontiere terrestri è meno visibile rispetto agli sbarchi. «La barca che arriva sulle nostre coste dà anche questa impressione di “invasioni” di arrivo degli “invasori”», mentre i movimenti lungo i confini interni rimangono nascosti e sono «una dinamica che viene osservata essenzialmente dalle persone che vivono sul posto».
Tuttavia, nella quotidianità della frontiera, la situazione non è diversa da altri valichi. La città ligure è una delle frontiere interne più attive per i movimenti migratori, una sorta di simbolo di una crisi protratta. Il paesaggio sembra fermo al 2015: le tende sotto il cavalcavia lungo il fiume Roja, i panni stesi ad asciugare, file di persone in attesa di un pasto caldo. E poi gli sgomberi, ciclici e mai risolutivi, che raccontano un’emergenza migratoria che va avanti da quasi dieci anni.
Ma se il contesto locale sembra immutato, la composizione e l’intensità dei flussi migratori sono cambiati negli ultimi anni.
Flussi migratori e cambiamenti nel 2024
Negli ultimi anni i flussi sono cambiati, spiega Colomba. Nel 2023 sono state quasi 160.000 le persone arrivate in Italia, molte delle quali provenienti per la prima volta dalla Tunisia anziché dalla Libia. La maggioranza era composta da persone provenienti da Costa d’Avorio, Mali, Camerun e Guinea tra loro si contavano numerosi minori stranieri non accompagnati e molte donne sole con bambini, spesso in condizioni di estrema vulnerabilità o potenziali vittime di tratta.
Nel 2024, invece, la situazione è cambiata. «Il flusso ha avuto grossi cambiamenti rispetto al 2023, un anno diciamo di emergenza accentuata, dovuto al grosso aumentare degli sbarchi provenienti dalla rotta tunisina». La riduzione è legata agli accordi tra UE e Saïed che hanno portato ad una diminuzione degli arrivi dalla Tunisia e, in generale, gli sbarchi sono stati circa il 60% in meno rispetto a quelli del 2023. Di conseguenza, anche gli arrivi a Ventimiglia sono diminuiti rispetto all’anno precedente, quando si raggiungevano picchi di quasi 600 presenze al giorno. Con gli arrivi, continua Colomba, «sono diminuiti anche i respingimenti alla frontiera di Ventimiglia del 68%». Nel 2024 sono state intercettate e rimandate in Italia 15.000 persone mentre l’anno prima erano 38.000. Questa riduzione è attribuibile sia alla «semichiusura della rotta tunisina», sia a una sentenza del Consiglio di Stato francese di febbraio 2024. Il Consiglio di Stato, accogliendo un ricorso di diverse ONG francesi, ha dichiarato illegittimo il regime di respingimenti collettivi basato sui cosiddetti refus d’entrée, giudicandolo contrario alla direttiva europea sui rimpatri. Di conseguenza, la Francia è stata obbligata ad adottare «un sistema più garantista, più tutelante del migrante» e che, almeno in teoria, dovrebbe prevedere una valutazione individuale della persona.
Tuttavia, Colomba sottolinea che la sentenza ha portato meno benefici di quelli che ci si poteva aspettare al valico di Ventimiglia e Mentone, ma è stata invece più fedelmente applicata in Val di Susa a Oulx. Qui molte persone migranti hanno avuto la possibilità di presentare richiesta di asilo direttamente presso gli uffici di frontiera francesi. Nella maggior parte dei casi, le autorità francesi hanno rilasciato i migranti con un invito a formalizzare la domanda presso la prefettura competente, un cambiamento che Colomba definisce «piuttosto rivoluzionario». Questa differenza di applicazione tra i due confini ha generato un passaparola tra i migranti a Ventimiglia, portando alcuni a dirigersi verso Oulx, che ha sempre avuto un flusso di arrivi inferiore, diminuendo la pressione a Ventimiglia.
Una gestione precaria dell’accoglienza
I numeri, per quanto indicativi, non riescono però a catturare pienamente la complessità della situazione a Ventimiglia dove gravi carenze infrastrutturali rendono l’accoglienza dei migranti estremamente difficile. La problematica principale rimane la mancanza di un luogo sicuro in cui i migranti possano rifugiarsi, un’esigenza che diventa ancora più pressante nei mesi invernali.
A seguito dello smantellamento del campo di Roya, non esistono più strutture di accoglienza “istituzionali” in città, eccezion fatta per il PAD (Punto di Accoglienza Diffusa). Questo servizio, però, offre posti limitati e riservati esclusivamente a famiglie e donne. Gli uomini, invece, restano esclusi da qualsiasi forma di accoglienza, costretti a vivere per strada, privi di accesso a acqua potabile e servizi igienici, e, nei mesi invernali, esposti alle rigide temperature. Per le donne, è presente anche un progetto mirato specificamente a rispondere ai loro bisogni – in particolare per quanto riguarda la violenza di genere, i rischi legati alla tratta e il re-trafficking –, il Women and Girls’ Friendly Space, parte dello Spazio Sicuro gestito da Caritas e Save the Children. Questo luogo sicuro, oltre alla primissima accoglienza, offre un supporto psicosociale volto a individuare vulnerabilità specifiche e situazioni di pericolo.
In assenza di alternative, molti migranti hanno trovato rifugio temporaneo sotto il ponte delle Gianchette, almeno fino allo sgombero. Durante tutto l’anno, infatti, molti si rifugiano sotto il cavalcavia, costruendo tendopoli improvvisate che soffrono di gravi carenze igienico-sanitarie, un grave problema per i migranti che negli anni sono arrivati anche a scavalcare i cancelli del cimitero pur di avere accesso all’acqua. Altri, invece, si trovano in condizioni ancora più precarie: senza fissa dimora, vittime di traumi o dipendenze, incapaci di uscire da una spirale di povertà e isolamento.
Lo sgombero degli accampamenti, avvenuto a metà ottobre 2024, ha rappresentato l’ennesima dimostrazione di un approccio emergenziale e repressivo che non risolve alcun problema strutturale. Come spiega Colomba, «queste operazioni di sgombero, di pulizia e di chiusura degli accampamenti informali si sono sempre ripetute nel corso degli anni a Ventimiglia», e non risolvono alcun problema strutturale. Come prassi, le forze dell’ordine presidiano il luogo dove vengono effettuati questi sgomberi per 1 o 2 settimane, impedendo il ricostituirsi dell’accampamento. Ma, una volta che il presidio fisso viene ritirato, «sostanzialmente l’accampamento si ricostituisce com’era prima, e con gli stessi problemi a livello igienico sanitario. Sono più che altro misure utili soprattutto per placare un po’ l’opinione pubblica ma che producono effetti assolutamente non duraturi».
A completare il quadro, il Comune di Ventimiglia ha emanato un’ordinanza cosiddetta antibivacco che vieta l’uso di tende e giacigli di fortuna in alcune zone della città. Tuttavia, come osserva Colomba, persino le forze dell’ordine sono consapevoli dell’impossibilità di far rispettare tali disposizioni. In molti casi, si limitano a intimidire un po’ i migranti e gli attivisti e tutt’al più «suggeriscono loro di nascondersi ulteriormente e di essere meno visibili possibili» in modo da evitare proteste ed esposti da parte dei comitati di quartiere e dei cittadini che abitano soprattutto nella zona delle Gianchette.
Un simbolo di lotta e speranza
La realtà del confine di Ventimiglia racconta una storia di barriere visibili e invisibili, di sgomberi, respingimenti e una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Nonostante le difficoltà, Ventimiglia rimane anche un simbolo di resistenza e solidarietà. Organizzazioni come WeWorld, Caritas Intemelia e altre, operano instancabilmente per alleviare le sofferenze dei migranti, mentre attivisti locali e internazionali cercano di colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni.
L’opera di Pistoletto, con il suo messaggio di superamento delle barriere, sembra quasi un monito per ricordare che la frontiera non è solo un luogo di divisione, ma anche di incontro e di possibilità. Mentre i massi del “Terzo Paradiso” restano immobili, la frontiera di Ventimiglia continua a cambiare, tra politiche migratorie europee, diritti negati e la resistenza di chi cerca un futuro migliore.
Federico Morra