Uscito nelle sale italiane il primo febbraio, The Iron Claw è il terzo lungometraggio scritto e diretto dal regista statunitense Sean Durkin e rappresenta il suo ritorno al cinema dopo quasi quattro anni dal suo ultimo lavoro The Nest – L’inganno.
La pellicola, tratta da una storia vera, rievoca la tragica vita della famiglia Von Erich, una dinastia leggendaria e maledetta del wrestling americano. Al centro della vicenda ci sono Fritz, il padre ossessivo, ossessionato e intransigente e i suoi quattro figli, Kevin, Kerry, David e Mike, legati tra loro da un amorevole sentimento fraterno. Con il prosieguo della narrazione, tuttavia, il peso del desiderio assillante del padre si sposta sempre più sulle spalle dei figli e, oltre a mettere in discussione l’affetto che ogni fratello nutre per l’altro, sarà la causa della rovina della famiglia intera.
In quest’opera Durkin si serve di una storia sportiva (sebbene, infatti, il wrestling sia più propriamente uno sport-spettacolo, il film si può inserire agilmente in questo sottogenere) per mettere in scena due storie parallele e in un certo senso complementari, due storie che sembrano anche criticare aspramente la tanto celebrata american way of life. Da una parte si prosegue sul binario sportivo, una frazione di narrazione che si serve di molti clichés narrativi, che è debitrice dei tanti film dello stesso genere che hanno preceduto The Iron Claw (partendo da echi del cinema di Scorsese giungendo fino ai più recenti The Wrestler e The Foxcatcher) e che si concentra sull’estrema quanto deleteria repulsione, tutta americana, nei confronti della sconfitta e del fallimento. Dall’altra, il regista calca la mano sull’ambiguo rapporto padre-figlio: se è vero, infatti, che una certa dose di affetto non sembra mancare, il rapporto tra i fratelli Von Erich e il loro genitore è un rapporto basato sul rigore, la disciplina, l’estremo rispetto e infine una buona quantità di sudditanza psicologica. Attraverso la messa in scena di questa famiglia (emblematica visto il luogo dove risiede, il Texas, e il periodo storico nel quale vive, gli anni ’80), infatti, Durkin critica l’educazione e la retorica patriarcale, ancora fortemente presente negli Stati Uniti. Nella visione del regista, infatti, se si sottostà a quelle logiche l’unico destino attendibile è la rovina. Seppur alla fine del film ci sia uno spiraglio di speranza, non a caso la famiglia Von Erich è funestata di eventi tragici.
Sebbene, alla luce di quanto detto finora, le sottotrame e i risvolti tematici di The Iron Claw siano piuttosto chiari, la pellicola soffre di un grande difetto e questo purtroppo sta proprio nella narrazione e nel ritmo generale del film. Innanzitutto, va detto che quanto mostrato sullo schermo non corrisponde esattamente alle reali vicende della famiglia Von Erich: ci sono omissioni di eventi importanti, ellissi temporali e persino la mancata presenza nella narrazione del quinto fratello, Chris. Se la maggior parte di queste scelte può facilmente spiegarsi attraverso necessità ed esigenze narrative, la mancanza di uno degli effettivi membri della famiglia purtroppo è sintomo di un’incapacità di gestione e di visione coesa della storia; un’incapacità che, purtroppo per Sean Durkin, emerge anche nel film. Ad una prima parte dal ritmo sostenuto, ma comunque godibile e gestibile da parte del pubblico, segue una seconda in cui i drammi sono troppo vicini tra loro. Le disgrazie vengono presentate con estrema fretta una dietro l’altra e lo spettatore non ha il tempo di emozionarsi per un avvenimento tragico poiché nell’arco di qualche scena ne avviene subito un altro. Questa estrema tendenza al dramma rischia di far ottenere costantemente al film l’effetto inverso ed evocare nello spettatore solo un senso di indifferenza.
La regia e la fotografia, seppur con qualche spunto interessante (soprattutto durante i match sul ring) sono entrambe scolastiche ed anonime. Il montaggio, come facilmente intuibile, soffre enormemente il ritmo della narrazione.
La recitazione, seppur buona nella maggior parte degli interpreti (Zac Efron, Jeremy Allen White, Holt McCallany), non tocca mai alti picchi di qualità. L’unica eccezione è rappresentata da Harris Dickinson, che svetta su tutti gli altri attori.
The Iron Claw è un film interessante, con degli spunti narrativi estremamente legati all’attualità; tuttavia, a causa del modo insufficiente di narrare con equilibrio le tragedie della famiglia Von Erich, crolla sotto il peso estremo del dramma.
Sebastian Angieri